lunedì, Luglio 14, 2025
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Quelli della classe del 1985 | Lewis Hamilton

Nel 1985 il mondo aveva il fiatone del Novecento, ma nessuna intenzione di fermarsi. Alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan, al Cremlino Mikhail Gorbaciov. L’Italia di Craxi provava a guardare avanti, tra grandi ambizioni ed enormi contraddizioni. Il 1985 era la Guerra Fredda che cominciava a sciogliersi con l’Europa ancora divisa da un muro. L’anno dei Queen al Live Aid con la Thatcher a Downing StreetMaradona già faceva sognare Napoli, mentre l’NBA scopriva Michael JordanAyrton Senna stringeva forte il volante e il mondo piangeva la strage dell’Heysel. Nell’infinità del cielo si scopriva il buco nell’ozono e dalla profondità del mare riemergeva lo scheletro del Titanic. Era il tempo dei walkman, delle VHS impilate accanto a una TV ingombrante. L’anno del Commodore 64, del primo dominio web quando Internet era solo nella testa di un uomo che viveva a Ginevra. Era una Polaroid che scattava il presente e un fax che consegnava il futuro. Tutti cantavano “We Are the World”, convinti che una canzone potesse unire il pianeta. Al cinema usciva Ritorno al Futuro, in libreria Rumore Bianco.

Ma quarant’anni fa nasceva anche una generazione di atleti che avrebbe riscritto regole e infranto record. C’è chi è ancora lì, in prima linea. E c’è chi ha già voltato pagina. Ma le loro carriere, oggi, raccontano cosa vuol dire resistere, reinventarsi, lasciare un segno. Questa è la grande storia della leva sportiva del 1985.

Capitolo 1, Cristiano Ronaldo

Capitolo 2, Michael Phelps

Capitolo 3, Lewis Hamilton

La prima volta che Lewis Carl Davidson Hamilton mise le mani, anzi, le manine, su un volante aveva meno di due anni. “Comprammo uno di quei giocattoli da montare sul passeggino, e gli piacque subito”, ricorda la mamma. Ma non è l’unico aneddoto che la riguarda. C’è un altro dettaglio, più sottile, che racconta il legame innato tra Lewis, sua madre e la velocità. Sta tutto nel nome. Davidson è un omaggio al nonno, altra figura chiave di questa storia. Lewis Carl, invece, è frutto di un compromesso familiare. Il padre, Anthony, avrebbe voluto chiamarlo Carl Lewis, in onore del grande velocista americano, simbolo di eleganza e dell’orgoglio afroamericano. Ma all’ultimo, forse intuendo il peso di quell’eredità, fu Carmen a intervenire, invertendo i nomi. Lewis Carl. Più fluido, soprattutto più naturale e maggiormente nascosto alla superficialità dei paragoni altrui. Da qui, da questa inversione di marcia, parte la traiettoria di uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1, nato il 7 gennaio 1985, in una casa di Stevenage, Hertfordshire, Gran Bretagna.

Ma questa storia ha un prologo. Parte da una piccola isola vulcanica dell’America centrale, nelle Piccole Antille, sospesa tra il Mar dei Caraibi e l’Oceano Atlantico. Grenada, soprannominata “l’isola delle spezie” per la coltivazione della noce moscata, della vaniglia, e le piantagioni di cacao e banane esportate soprattutto in Europa. Scoperta da Cristoforo Colombo nel 1498, passò dalla Francia all’Inghilterra nel Settecento, ottenendo l’indipendenza solo nel 1974.

È da qui che Davidson Hamilton, nonno paterno di Lewis, partì negli anni Cinquanta alla ricerca di fortuna in Inghilterra. Da giovane era conosciuto a Grenada per la sua passione per le moto e la sua velocità: “Clear the way, Davidson is coming!” scherzavano gli amici quando lo vedevano arrivare. Trasferitosi a Londra, lavorò per la London Underground, la metropolitana della capitale. Ma alla fine il richiamo dell’isola fu più forte: tornò a Grenada, nel villaggio di Grand Roy, dove iniziò a guidare uno scuolabus privato, diventando un punto di riferimento per la comunità. La velocità della giovinezza lasciò spazio a una guida paziente e sicura, che gli valse un soprannome affettuoso: “Slow coach”.

Anche Anthony, padre di Lewis, nato durante gli anni londinesi, non ha mai spezzato il filo con Grenada. Vi tornava spesso, portando con sé il figlio. Per Lewis quei viaggi non erano solo vacanze: significavano ritrovare il porto di Saint George’s, ascoltare la musica filtrare dalle finestre, assaporare il clima mite e il ritmo rilassato dell’isola. E soprattutto incontrare il nonno, a cui è sempre stato molto legato. Un luogo che descrive semplicemente così: “È casa nostra”.

Stevenage

Anthony decide, però, che il suo futuro, e quello dei suoi figli, sarà in Europa, in Gran Bretagna. Alla fine degli anni ’70 si trasferisce a Stevenage, una cittadina tranquilla di circa 40mila abitanti — oggi sono il doppio — a una cinquantina di chilometri a nord di Londra. Una ‘New Town’ nata nel dopoguerra, con case popolari e molto verde, a maggioranza bianca, dove all’epoca era raro vedere famiglie miste. Anthony è nero, caraibico, cresciuto in un contesto operaio; Carmen, la madre di Lewis, è bianca, inglese, più grande di lui. Non è una coppia facile da accettare, e Stevenage non è Londra: la diffidenza si sente. Si sposano il 5 maggio 1979, nel quartiere popolare di Shephall. Anthony ha 18 anni, Carmen 23. Dopo due figlie da precedenti relazioni (Nicola e Samantha), nasce il loro primo figlio insieme: Lewis. “Lo abbiamo voluto e aspettato tanto”, dirà la madre in un’intervista.

Ma il matrimonio si guasta presto. I due si separano nel 1987, quando Lewis ha appena due anni. Per diverso tempo vive con la madre, il patrigno e i fratelli nella casa di Shephall. Solo a dieci anni decide di trasferirsi stabilmente dal padre, che nel frattempo si è risposato con Linda e vive con il fratellastro Nicolas, affetto da paralisi cerebrale. Con il fratello Lewis costruisce un legame speciale, indistruttibile. “Nicolas è importantissimo per me, è la mia ispirazione. Averlo vicino mi aiuta a dare il giusto peso alle cose. Viene a tutte le mie gare, ci vogliamo molto bene. È la sua presenza a mantenermi vivo e motivato. Ho sempre desiderato un fratello, e quando mio papà e Linda mi hanno detto che aspettavano un bambino, ero al settimo cielo”.

In quegli anni, Anthony lavora senza sosta. Di giorno è impiegato in una compagnia informatica, poi fa turni serali come addetto alla sicurezza. Nel tempo libero, sempre meno, fa il venditore porta a porta. Ogni soldo serve. Il budget familiare è ristretto, ma sufficiente per provare a garantire a Lewis un futuro nello sport.

Anche perché a scuola non è sempre a suo agio. A Stevenage i bambini neri sono pochi, e Lewis racconta di essersi spesso sentito osservato, fuori posto. In alcune interviste ha parlato apertamente di episodi di bullismo e insulti a sfondo razzista ricevuti fin da piccolo. Ma non è un bambino fragile. È introverso, molto concentrato. Quando gioca, lo fa con attenzione, in silenzio, ripetendo gli stessi gesti finché non gli riescono. Insomma, si applica, sempre. Il padre se ne accorge: suo figlio prende sul serio anche le cose che per gli altri sono solo un passatempo.

(Carmen e Nicolas)

I motori e Senna

A cinque anni Lewis passa ore sul pavimento della cameretta a far correre le macchinine, organizzando gare immaginarie tra scatole di cartone e cuscini. Il padre lo porta spesso al Luna Park, dove diventa subito abilissimo agli autoscontri: ha già una coordinazione occhio-mano fuori dal comune. Per il sesto compleanno, Anthony e Linda gli regalano una macchina radiocomandata. Lewis la guida come se fosse davvero lì dentro, in quel minuscolo abitacolo. Vince persino una gara organizzata da una tv locale, battendo diversi adulti. È il primo indizio che per lui i motori non sono solo un gioco. Il passo successivo è più impegnativo. Anthony inizia a mettere da parte i risparmi, fa lavoretti e alla fine riesce a racimolare circa 1000 sterline extra. Compra un go-kart usato, completo di tuta e casco. Lo sistema, lo adatta, lo rifinisce. Lewis ha sei anni quando riceve il suo secondo, importantissimo, regalo.

Intanto comincia a seguire la Formula 1. Ammira Ayrton Senna: lo stile coraggioso, spavaldo e la sua determinazione in pista. Ma nel 1994, quando Lewis ha solo nove anni, Senna muore nel tragico incidente alla curva Tamburello di Imola. “Quando pensi che persone come lui siano invincibili, e poi scopri che sono mortali, capisci che non puoi perdere tempo”, dirà più tardi. L’anno dopo, Anthony lo porta per la prima volta a Rye House, circuito di kart a pochi chilometri da casa. Lewis è veloce, preciso, più maturo degli altri. Ha già doppiato il padre più volte su altre piste. Quel giorno, in macchina, si gira, lo guarda e gli dice semplicemente che vuole diventare un pilota vero. Un professionista. Anthony lo ascolta, poi detta le condizioni. Si sarebbe occupato di tutto, allenamenti, iscrizioni, spese, ma Lewis avrebbe dovuto impegnarsi a fondo, anche a scuola. Niente sarebbe stato gratuito. Stavolta era un patto, non un regalo. Un accordo che cambia le loro vite. A dieci anni, dopo averne trascorsi otto con la madre, Lewis si trasferisce definitivamente dal padre, con Linda e il fratellastro Nicolas. Ed è lì che comincia a fare sul serio.

Ron Dennis

I risultati non tardano ad arrivare. A dieci anni, nel 1995, Hamilton vince il campionato britannico di karting nella categoria cadetti. È un altro momento “sliding doors”. A fine stagione, grazie a questo successo, viene invitato alla serata degli Autosport Awards a Londra. La famiglia non può permettersi abiti eleganti, così Lewis prende in prestito un completo verde dal giovanissimo pilota che aveva vinto l’anno precedente, con tanto di scarpe e cravatta. Nel caos della cerimonia, accompagnato da Anthony, cerca di orientarsi tra i volti famosi. Ed è allora che suo padre gli indica un uomo distinto, elegante, sorridente: Ron Dennis, il capo della McLaren, la scuderia per cui Ayrton Senna aveva guidato. Senza esitazione, Lewis gli si avvicina. “Gli ho dato un colpetto sulla spalla, o forse sul fianco, perché ero piccolo. E poi gli ho detto: Ciao, sono Lewis Hamilton, ho appena vinto il campionato britannico di kart e un giorno voglio diventare campione del mondo con la tua macchina”. Dennis lo guarda, sorride, firma il suo quaderno e annota: “Riparliamone tra nove anni”.

Lewis non sa da dove abbia preso quel coraggio. “Forse ero uno di quei bambini che hanno una sicurezza innata, o forse ero uno di quelli che non sapevano cosa stavano facendo.” Quel “riparliamone tra nove anni” diventerà un appuntamento reale, fissato nel tempo, anche se ne passeranno solo tre, di anni, prima che le strade di Ron e Lewis si incrocino di nuovo. Intanto, dietro a tutto, c’è il padre Anthony che pensa ai dettagli pratici. Uno di questi è il casco giallo, giallissimo, poco elegante ma necessario. “Se fosse successo qualcosa in pista a Lewis, volevo poterlo individuare subito”.

 

 

Dopo essersi iscritto alla John Henry Newman Roman Catholic School di Stevenage, Lewis si fece notare anche in altri sport, soprattutto nel calcio, dove giocava nella squadra scolastica insieme ad Ashley Young, futuro protagonista della Premier League e della nazionale inglese. Tuttavia, la scuola non era sempre un ambiente facile, tra bulli e battute a sfondo razzista. Lewis inizia così a frequentare un corso di karate, disciplina nella quale ottenne la cintura nera a soli dodici anni. Nel frattempo, la sua carriera nel karting cresce rapidamente. Nel 1996 ottiene diversi successi a livello regionale e nazionale, confermandosi come uno dei piloti più promettenti del Regno Unito. L’anno successivo entra a far parte del programma giovanile della Yamaha, una tappa fondamentale per il suo percorso, dove conquista alcune importanti vittorie che gli valgono visibilità e opportunità per passare ai campionati internazionali.

 

 

L’arrivo in McLaren

Nel 1998 si rompono tutti gli indugi. Lewis Hamilton firma con Ron Dennis, ben prima dei nove anni ipotizzati dal boss della McLaren. Entra nell’Academy della scuderia, il programma dedicato ai giovani talenti emergenti. In quegli anni uno dei suoi amici è Nico Rosberg, con cui condivide molte sfide e ambizioni. “Siamo stati compagni di squadra nei campionati di karting, in Europa, per due stagioni consecutive — ricorda Lewis — e ci sfidavamo su chi sarebbe diventato il più giovane pilota di sempre in Formula 1”. Nico ci riuscirà prima di lui, grazie a una precoce stagione in GP2, dove il set-up delle monoposto è molto simile a quello della F1 e le velocità raggiunte sui rettilinei si avvicinano a quelle delle monoposto. “È la persona più competitiva che conosca, gareggiare con lui era durissimo. Spesso parlavamo di quanto sarebbe stato bello correre insieme in F1”. Succederà. E non sarà, come vedremo, così idilliaco.

 

 

Il passo successivo fu la Formula Renault, una categoria fondamentale nel percorso verso la Formula 1, oggi assorbita in altre competizioni. Lewis ottiene la sua prima monoposto con il team Manor, sempre sotto l’ala protettrice della McLaren, e comincia a fare esperienza. Nel 2002, al secondo anno, punta al titolo. La stagione parte male, complicata da un doppiaggio difficile nella gara d’esordio e da alcune corse senza vittoria. Tutto cambia però a Silverstone, in una gara bagnata dove Lewis, con gomme soft pensate per l’asciutto, rimonta dal quinto posto fino alla vittoria. Un’impresa che non passa inosservata, soprattutto tra gli addetti ai lavori. Nel 2004 fa il suo primo test ufficiale con la McLaren. Le voci di un suo possibile salto in F1 iniziano a circolare, anche se il posto di terzo pilota se lo aggiudica Pedro De La Rosa. È ancora presto per un salto del genere. Il 2006 è l’anno della consacrazione: arriva anche per lui la GP2, categoria che oggi conosciamo come Formula 2, ultimo gradino prima dell’olimpo dei motori. La consacrazione arriva, ancora una volta, grazie al doppio successo a Silverstone, in giugno. Una dimostrazione di forza e di talento che, secondo molti, spinge Ron Dennis a superare ogni titubanza. Qualche mese più tardi, il 30 settembre, poco prima del Gran Premio della Cina di F1, il boss della McLaren invita Lewis a casa sua. “Ci siamo seduti e mi ha detto: abbiamo deciso che sarai tu l’altro nostro pilota l’anno prossimo”. Lewis ricorda di aver trattenuto un sorriso. Era arrivato dove aveva sempre sognato di arrivare. Gli anni di gavetta erano finiti. A partire dal 2007, con il Gran Premio d’Australia, sarebbe stato un pilota di Formula 1. Ma la sfida sarebbe stata enorme: il suo compagno di squadra sarebbe stato Fernando Alonso, due volte campione del mondo, fresco di ingaggio con la McLaren. Uno dei piloti più pagati e più temuti della griglia.

Il processo di apprendimento inizia subito. Nei sei mesi successivi Lewis riceve una formazione intensa, viene sottoposto ad allenamenti serrati e lunghe sessioni di test, soprattutto all’interno del McLaren Technology Centre di Woking, luogo che Lewis ormai conosce bene. Un esempio di questo training? Nella biografia di Frank Worrall (Limina Edizioni) ci sono diversi particolari impressionanti sulla sua routine quotidiana: due chilometri a nuoto, ottanta in bici e due ore di palestra. “Era tutta una questione di resistenza”. Dopo quasi dieci anni passati a studiare le monoposto, la tecnologia, lo stile della McLaren, Lewis è pronto. Ma non solo lui: la stampa, gli appassionati, i meccanici. Sono tutti in attesa di scoprire se è davvero l’enfant prodige destinato a dominare la Formula 1, o soltanto, come scrive Worrall, il primo pilota ‘costruito in laboratorio’.

La prima (folle) stagione

La situazione, a guardarla bene, è perfetta per Hamilton. Ha una macchina veloce, tra le più potenti e affidabili del campionato. E tutti gli occhi sono puntati su Fernando Alonso, due volte campione del mondo, anche lui al debutto con la McLaren. A sfidarli ci sono le Ferrari di Kimi Räikkönen e Felipe Massa, veloci e ambiziose. A completare il quadro, non meno importante, è il ritiro dalle corse di Michael Schumacher: la leggenda ha smesso di correre pochi mesi prima. “Ho sempre desiderato gareggiare contro di lui — scherza Lewis — e proprio l’anno in cui arrivo io, lui se ne va. Non so se c’entro qualcosa.” Una battuta ma, forse, con un fondo di verità. La cosa certa è che nel 2007 la Formula 1 è alla ricerca di un nuovo spirito guida, di un volto capace di raccoglierne l’eredità e diventare un idolo per i tifosi.

 

 

La stagione parte, come di consueto, dall’Australia. Alonso ha già vinto l’anno prima e arriva a Melbourne da favorito. Dentro il sitema McLaren è successo qualcosa di molto raro: due piloti nuovi contemporaneamente, entrambi pronti a lottare per la vittoria finale del campionato. Non si è quasi mai visto. È una novità anche per Ron Dennis, che ha dovuto cambiare le sue abitudini per Lewis, nonostante avesse investito risorse e credibilità su Alonso. Eppure la differenza tra i due sembra chiara: l’asturiano è un campione affermato, che non deve dimostrare nulla; Lewis invece deve ancora confermare le aspettative, evitare errori. Ma dentro di lui c’è altro: la voglia di emergere, di misurarsi, di non fare il gregario, di vincere. Perché quel posto se l’è conquistato, curva dopo curva. “Sognavo di correre con Senna e Prost. Ora sono nella loro scuderia.” Anni di sacrifici, dalle piste di kart alla GP2, lo portano fin qui, a un passo dall’obiettivo. “Voglio diventare campione del mondo. E ora sono molto più vicino al traguardo.”

Già alla prima gara Hamilton è tutt’altro che timido. È subito terzo posto, podio al debutto. L’ultimo esordiente a riuscirci, nel 1996, è stato Jacques Villeneuve, che però aveva già esperienza in IndyCar. Hamilton sorride, ma non si accontenta: altre due gare, altri due podi. Non è qui per fare la comparsa. Montecarlo è il primo vero test di maturità. La McLaren fa doppietta: Alonso primo, Hamilton secondo. Pari punti in classifica. Anche agli occhi dello spagnolo non c’è più un rapporto maestro-allievo, ma una rivalità vera. Dal paddock arriva l’ordine di scuderia di mantenere le posizioni. Hamilton, secondo, obbedisce, ma dentro si sente un leone in gabbia. Anche su un circuito così difficile, se potesse, tenterebbe sempre il sorpasso.

La prima vittoria arriva in Canada, a Montreal, al sesto Gran Premio. Hamilton conquista la pole position e controlla la gara, regalandosi un weekend quasi perfetto su un tracciato tecnico e impegnativo. Entra nella storia: è uno dei pochi esordienti a vincere una gara. Dedica il successo a suo padre, senza il quale niente sarebbe stato possibile. Una settimana dopo, ad Indianapolis, replica: seconda pole, seconda vittoria consecutiva. Diventa il secondo pilota nella storia a vincere due gare di fila al debutto. L’unico a riuscirci, prima di lui, era stato Giancarlo Baghetti, nel 1961. Altri tempi, altre corse.

 

 

Dopo il Nord America, Hamilton prende il comando della classifica mondiale, mentre Alonso comincia a sentire la pressione di un compagno sempre più pericoloso. Hamilton guida come un kartista. Ama stare sul bordo della pista, sfruttando ogni centimetro disponibile. Nei tornanti, svoltare all’ultimo istante è un po’ la sua firma: anche perché gli permette di guadagnare decimi preziosi e sorprendere gli avversari. Questa aggressività calcolata, unita a una grande sensibilità nel controllo della vettura, lo rende uno dei piloti più spettacolari e imprevedibili del circuito. E uno dei più amati dai fan. A Magny Cours, il pilota inglese ottiene l’ottavo podio consecutivo, chiudendo al terzo posto. Ma quella in Francia è anche la gara del primo sorpasso subito in pista, da Kimi Räikkönen, un bel battesimo e un promemoria chiaro per il futuro. Silverstone, a casa sua, è il teatro del suo nono podio di fila, davanti a 85mila tifosi che cantano il suo nome. La gara è difficile: un errore durante un pit-stop lo fa scivolare al terzo posto, nonostante avesse conquistato la pole position all’ultimo giro.

Nelle settimane che dividono il Gran Premio di Gran Bretagna e il Gran Premio d’Europa scoppia, però, un caso clamoroso. Sulle pagine di tutti i giornali sportivi, e non solo, trova spazio lo scandalo dei progetti sottratti alla Ferrari e arrivati in McLaren. Spionaggio industriale tra team con la scuderia italiana che chiede giustizia e quella inglese che spiega come, quei disegni, non siano mai stati utilizzati per migliorare le monoposto. Si apre un secondo terreno di battaglia, lontano dall’asfalto rovente. Hamilton e Alonso temono per i loro punti in classifica. Improvvisamente potrebbe crollare tutto.

In Germania, Hamilton è protagonista di un brutto incidente durante le prove libere, il primo di un certo peso nella sua carriera, che lo costringe a partire dalla decima posizione. Tra dolori e una foratura in gara, riesce a risalire ma solo fino al nono posto. La vittoria va ad Alonso, che recupera terreno e riaccende la tensione interna alla McLaren. Il punto di rottura, tra i due, è nell’aria. E a contribuire ai problemi di spogliatoio c’è pure un altro disegno, stavolta più innocuo. Prima della gara in Ungheria, la rivista F1 Racing chiede a tutti i piloti di contribuire a un’asta di beneficenza: ciascuno di loro deve fare il ritratto del compagno di squadra. Quello di Lewis è abbastanza fedele all’originale mentre lo spagnolo prende al volo l’occasione per mandare un messaggio a tutti. Rappresenta Hamilton con la tuta da gara e due scritte sul colletto: a destra “McLaren”, a sinistra “ragazzo”. Quasi a sminuire il suo ruolo e a sottolineare la distanza tra chi ha appena iniziato e chi, invece, ha già vinto.

L’Ungheria e il ‘pitlanegate’

L’Hungaroring rappresenta un punto di svolta, e di rottura, nel dualismo tra Lewis Hamilton e Fernando Alonso. Quel weekend passerà alla storia come il “Pitlanegate”. Durante le qualifiche, entrambi i piloti McLaren sono in lotta per la pole position. Alonso è il primo a entrare ai box per montare le gomme nuove nell’ultima fase della Q3. Ma, al momento di ripartire, si blocca: resta fermo per circa dieci secondi mentre la squadra cerca freneticamente di far ripartire l’auto. Dietro di lui, Hamilton attende di uscire per tentare il suo ultimo giro veloce. Il risultato? Alonso riesce a tagliare la linea di arrivo in tempo per effettuare il giro finale e strappa la pole, mentre Hamilton perde la possibilità di migliorare il suo tempo e scivola in seconda posizione. La decisione scatena l’ira di Ron Dennis e non passa inosservata ai giudici di gara. Alonso viene penalizzato di cinque posizioni sulla griglia mentre Hamilton si riprende la pole. In gara, la situazione non cambia: Lewis guida con sicurezza, mentre Alonso, penalizzato e partito sesto, commette un errore al primo giro che rallenta la sua rimonta. Nonostante i sorpassi su Webber e Kubica, resta bloccato a lungo dietro Ralf Schumacher. Hamilton deve gestire la pressione di Räikkönen, che si avvicina pericolosamente, ma le difficoltà di sorpasso sul tortuoso circuito ungherese mantengono le posizioni quasi invariate. Alla fine, il pilota di Stevenage vince davanti al finlandese, mentre Alonso chiude quarto, lontano dal risultato sperato.

 

 

Dopo il Gran Premio d’Ungheria, il confronto tra Hamilton e Alonso si fa sempre più acceso, diventando l’argomento principale della stagione, sia dentro che fuori dai box, nei pub, nelle chat e sui blog. Ogni gara è una prova non solo della loro velocità, ma anche della capacità di gestire la pressione in pista e fuori. Per Ron Dennis, controllare questa tensione sta diventando una sfida sempre più complessa. Ormai però è troppo tardi per elaborare nuove strategie: entrambi si contendono ancora il titolo mondiale, in una lotta allargata alle Ferrari. Hamilton guida con 80 punti, seguito da Alonso a 73. Kimi Räikkönen, con 60 punti, e Felipe Massa, a 59, sono ancora in corsa. Un altro crocevia della stagione è Monza. Qui Alonso ritrova grande fiducia e conquista, per la prima volta in carriera, il primo posto al Gran Premio d’Italia. Hamilton si deve accontentare del secondo posto, mentre per la McLaren è la prima doppietta dal Gran Premio degli Stati Uniti. Ma le tensioni fuori dalla pista restano alte: la scuderia attende con ansia l’esito delle indagini sul caso di spionaggio industriale. La sentenza arriva pochi giorni dopo e pesa come un macigno: la McLaren riceve una multa pesantissima (superiore ai 50 milioni di sterline) e viene esclusa dal campionato costruttori. Tutti i punti conquistati dalla squadra vengono azzerati, mentre quelli raccolti dai piloti rimangono validi. Nonostante questo duro colpo, Hamilton e Alonso rimangono saldamente in lotta per il titolo. La battaglia si sposta in Belgio, dove a trionfare sono le Ferrari. Alonso chiude terzo, Hamilton quarto, ancora dietro allo spagnolo che continua a rosicchiare punti, avvicinandosi sempre di più e iniziando a far sentire a Hamilton il fiato sul collo. Mancano solo tre gare alla fine del mondiale, Giappone, Cina e Brasile, ed è tutto apertissimo.

Il rush finale

Nel Paese del Sol Levante la gara si corre sotto una pioggia battente, quel tipo di pioggia pesante e insidiosa che richiede abilità massima per restare in pista. Hamilton ha conquistato la pole position, davanti ad Alonso. La partenza avviene dietro safety car per motivi di sicurezza, ma subito le Ferrari si complicano la vita montando pneumatici intermedi vietati, costringendo Massa e Räikkönen a una sosta extra. La pioggia continua a cadere forte. Alonso e Hamilton commettono diversi testacoda, ma è lo spagnolo a dover abbandonare la gara dopo un brutto incidente, dal quale però esce illeso. Durante un altro regime di safety car si crea un nuovo caso: Hamilton sembra provocare involontariamente un tamponamento tra Vettel e Webber con un’accelerazione improvvisa e per molti considerata non necessaria. Alla ripartenza, il pilota inglese è in testa. Nel finale, Räikkönen perde il podio, sorpassato da Kovalainen, mentre Massa conquista il sesto posto dopo una dura battaglia con Kubica. Hamilton vince la gara, esulta e sembra aver dato la spallata decisiva per la conquista del titolo. In classifica rafforza il suo vantaggio, portandosi a +10 su Alonso e +17 su Räikkönen.

In Cina, Lewis è ancora una volta in pole position, seguito da Räikkönen, Massa e Alonso. La gara si disputa con pioggia intermittente, questa volta più leggera e meno pericolosa, e tutti partono con pneumatici intermedi. Hamilton resta davanti a tutti fino a metà gara, ma l’usura delle gomme lo costringe a rallentare e cedere la prima posizione a Räikkönen. Poco dopo commette un errore in ingresso ai box, finisce nella ghiaia e deve ritirarsi: probabilmente il primo grande errore della sua stagione, arrivato in un momento cruciale. Räikkönen vince davanti ad Alonso e Massa, e in classifica si accorciano le distanze: Alonso (103 punti) e Räikkönen (100 punti) si avvicinano a Hamilton (107 punti). Tutto è ancora in bilico.

La lotta per il mondiale si decide a San Paolo, in Brasile, non lontano dal luogo dove riposa Ayrton Senna. È dal 1986 che tre piloti non si giocano, all’ultima gara, la possibilità di vincere il titolo. Ma le prove mischiano subito le carte: in pole non c’è nessuno di loro, ma Felipe Massa. Dietro di lui, Hamilton, Räikkönen e Alonso.Alla partenza le Ferrari scappano via, con Räikkönen che s’infila subito in seconda posizione dietro al compagno. Hamilton, invece, vive un incubo: alla prima curva, mentre prova a chiudere Alonso, sbaglia, perde posizioni e si ritrova decimo. Quando la sua rimonta sembra partita, il cambio comincia a dargli problemi e Lewis scivola ancora più indietro. Alla fine chiuderà solo settimo, un risultato che butta all’aria il sogno del titolo. Durante il secondo pit-stop, Räikkönen supera Massa e va a vincere la gara, davanti al compagno di squadra e ad Alonso, terzo. Quel successo gli regala il titolo con 110 punti, uno in più di Hamilton e Alonso, fermi a 109. I due rivali, amici-nemici, finiscono appaiati, senza un vero vincitore. Formalmente, per numero di piazzamenti, Lewis chiude secondo e Fernando terzo, ma è una magra consolazione.

Quando però sembra tutto finito c’è spazio per un ultimo colpo di scena. Dopo la gara, l’ordine d’arrivo tarda ad arrivare: c’è un’indagine FIA sulla temperatura della benzina delle BMW e Williams, sospettate di usare carburante troppo freddo, vietato perché darebbe un vantaggio in termini di prestazioni. Se la penalità fosse scattata, Hamilton avrebbe guadagnato una posizione e vinto il mondiale “a tavolino”. La McLaren fa ricorso, puntando su un precedente del ’97. Il 16 e 17 novembre il Consiglio Mondiale della FIA discute il caso. Dopo due giorni di dibattito, il ricorso viene respinto e il titolo viene confermato a Räikkönen. La stagione si chiude così, ma le polemiche continuano a infiammare l’ambiente per giorni. Hamilton però è chiaro: non vuole e non vorrebbe mai vincere in quel modo. Il mondiale costruttori va alla Ferrari con 204 punti, davanti alla BMW con 101. La McLaren, che in realtà ha raccolto 203 punti, resta a zero per la squalifica. Per Hamilton è una chiusura amara. Ha dimostrato a tutti di poter dominare, ma per ora deve accontentarsi solo di un ottimo piazzamento.

La seconda (folle) stagione

Il 2008 è tutta un’altra storia. Alonso ha fatto le valigie e se n’è andato in Renault. Hamilton è ufficialmente il primo pilota della McLaren, affiancato da Heikki Kovalainen. Stavolta l’inizio è promettente: vince subito in Australia, imparando dagli errori dell’anno prima. Domina qualifica e gara, che vede solo sei monoposto tagliare il traguardo tra safety car e incidenti. Sul podio, al terzo posto, c’è Nico Rosberg, con cui condivide il primo podio in F1. I due ex kartisti si sorridono. È ancora tempo di intesa. Lewis sembra più consapevole, più a suo agio.

Poi qualcosa si inceppa. A Sepang è solo quinto. In Bahrein è un disastro: un brutto incidente in prova fa trattenere il fiato a tutti. In gara chiude tredicesimo. A Barcellona torna sul podio, terzo, ma dietro le due Ferrari di Massa e Räikkönen, nettamente più forti. In Turchia è secondo, incastrato tra le due Rosse che comandano la classifica. A Monte Carlo c’è il primo segnale di riscossa. Sotto la pioggia, Hamilton guida come mai prima e conquista la vittoria, la sesta in carriera, rilanciando le sue ambizioni di alta classifica. Ma poi arriva il Canada, e un altro disastro: mentre è in testa, si scontra con Räikkönen all’uscita del box, perdendo la gara e il comando della classifica a favore di Robert Kubica. Il pilota inglese si scusa, ma la penalità di dieci posizioni in Francia gli pesa: non prende punti e la stagione sembra maledetta. A dieci gare dalla fine è quarto, anche se con solo dieci punti da recuperare su Massa. La nuova svolta arriva a Silverstone, davanti al suo pubblico, sotto la pioggia. La gara è spettacolare: doppia quasi tutti. “È la mia vittoria migliore di sempre”, dirà in conferenza stampa. La conferma arriva in Germania, altra gara dominata. In Ungheria, invece, una gomma forata lo costringe al quinto posto, ma Kovalainen vince per la prima volta e nel box McLaren si festeggia comunque.

Il 2008, a guardarla da fuori, è proprio una stagione strana. Alonso vince solo due gare e non lotta più per il titolo. Anche Räikkönen sembra meno motivato. Il vero avversario di Hamilton è Felipe Massa, affamato e con una macchina che risponde a ogni sua richiesta. Nelle ultime sette gare, il brasiliano ne vince tre, restando sempre vicino a Lewis. A Monza, un giovanissimo Sebastian Vettel regala alla Toro Rosso la sua prima vittoria in F1. A Singapore, il primo Gp notturno della storia, trionfa Alonso davanti a Rosberg e Hamilton. Massa chiude tredicesimo: la sfida si ripete. Mancano tre gare e Hamilton deve, di nuovo, gestire il vantaggio. Ma come sempre, le ultime gare riservano sorprese. In Giappone la battaglia con Massa è feroce, ma è Lewis a soccombere: speronato e costretto a un testa-coda, finisce dodicesimo. In Cina, invece, risorge e vince la gara. Massa è secondo, ancora in corsa. Tutto si decide a Interlagos, Brasile, proprio a casa di Massa. Hamilton guida la classifica con soli sette punti di vantaggio.

Il brasiliano conquista la pole, spinto dalla folla. Il giorno della gara, un forte acquazzone ritarda la partenza. Massa guida con fermezza e decisione, si capisce subito che nessuno potrà scalzarlo dalla prima posizione. Hamilton, conti alla mano, deve arrivare quinto per essere campione. Durante la gara oscilla intorno a quella posizione, scende alla settima, poi risale. La tensione nel box McLaren è alle stelle. A pochi giri dalla fine monta gomme da bagnato. È quinto ma tallonato da Vettel che va fortissimo. A due giri dalla fine il tedesco lo sorpassa, poi supera anche Glock, sembra finita. Massa taglia il traguardo e la Ferrari esulta. Ma Hamilton non molla. Glock, diventato lentissimo per via delle gomme da asciutto su pista ormai completamente bagnata, viene superato a poche curve dalla fine. Lewis torna quinto, taglia il traguardo e con i suoi 23 anni diventa il campione del mondo più giovane di sempre. È il finale più folle che i fan della F1 ricordino ancora oggi. Alla Ferrari resta solo il mondiale costruttori, una piccola e insufficiente soddisfazione.

 

 

Tre gradi di separazione

Sembrava l’inizio di una dinastia. Ma le cose si inceppano presto. E si inceppano malissimo. Hamilton non riuscirà a bissare il titolo nelle quattro stagioni successive. Dal 2009 al 2013 la McLaren fatica, soprattutto davanti alla crescita della Red Bull, scuderia emergente e super ambiziosa. In poco tempo tutto cambia. A marzo 2009 Ron Dennis lascia il suo ruolo operativo e si allontana dal box. L’anno dopo, nel 2010, Lewis prende un’altra decisione importante: si separa professionalmente dal padre Anthony, che smette di essere il suo agente-tuttofare. “A papà mancherà tutto questo, ma è stata una mia scelta. Deve concentrarsi su altro. Io preferisco non avere più lui come manager. Sta cercando di prenderla come farebbe un papà, ma ha preso le redini di altre attività”.Nonostante tutto, col tempo hanno ricostruito un rapporto personale solido. Lewis riconosce quanto il supporto di suo padre sia stato fondamentale per il suo successo e oggi continuano a condividere momenti importanti, dentro e fuori le piste. In due anni, Hamilton perde due figure chiave, due punti di riferimento che avevano lavorato tantissimo per far decollare la sua carriera. I risultati sembrano risentirne: quinto nel 2009 e 2011, quarto nel 2010 e 2012. La sua stella sembra già offuscarsi mentre quella di Vettel brilla sempre di più. Dopo la vittoria di Button nel 2009, il tedesco domina vincendo quattro mondiali consecutivi e nel 2010 si prende per sei mesi anche il record del più giovane campione del mondo.

 

 

Nel settembre 2012 Hamilton prende un’altra decisione difficile: lasciare la McLaren, il team che lo ha cresciuto, fatto maturare e con cui ha vinto. La verità è che ormai la McLaren non può più garantirgli un’auto competitiva come quella delle Red Bull. Anzi, c’è il rischio di continuare a scivolare indietro. Così annuncia, a malincuore, il passaggio alla Mercedes, che gli offre un contratto generoso. «È arrivato il momento di una nuova sfida e non vedo l’ora di iniziare.» Una scelta che, dopo una stagione di assestamento, si rivelerà molto azzeccata. Del resto scuderia e pilota condividevano, fin da subito, le stesse ambizioni di rivalsa e di titolo.

L’epopea Mercedes

Ricominciare da zero non è mai semplice. Figuriamoci per un pilota di F1. Devi capire i meccanismi, le tecnologie, i modi di fare, le gerarchie. Devi costruire ogni rapporto: con la monoposto, con i meccanici, persino con il compagno di squadra, quel Nico Rosberg con cui da ragazzo sognava di sfidarsi, e che ora è di nuovo al suo fianco in pista. La Mercedes non fa sconti, come non li faceva la McLaren. Qui non esiste il primo o il secondo pilota, almeno all’inizio. Stesse opportunità, stesse chance. Come quando avevano 16-17 anni e si sfidavano sui kart. Ross Brawn, il team principal, è un tipo tosto, testardo, uno che conosce ogni dettaglio come pochi altri. Nei due anni successivi la lotta è spietata, senza quartiere. Sono di nuovo nemici, anche se corrono per la stessa squadra. Arrivano frizioni, tensioni, incomprensioni. Nessuno cede, nemmeno quando la scuderia impone le regole.

Lewis parte lento: solo quinto in Australia. Ma poi sale sul podio in Malesia e in Cina. La macchina però non è perfetta, soprattutto i freni gli danno problemi. Rosberg prova a mettere il sigillo sulla sua superiorità vincendo a Monte Carlo e, soprattutto, a Silverstone, il circuito di casa per Hamilton, che chiude solo quarto. La prima, e unica, vittoria di Hamilton nel 2013 arriva in Ungheria, un circuito che da sempre gli regala grandi soddisfazioni. Ma il mondiale è dominato da Sebastian Vettel e dalla Red Bull, che confermano la loro supremazia vincendo il quarto titolo consecutivo per il pilota e il terzo costruttori per la squadra. Vettel trionfa con un margine netto, conquistando 13 vittorie su 19 gare, inclusa una serie record di nove successi consecutivi. Gli ultimi nove GP, dall’Ungheria in poi. Dietro di lui, la lotta è aperta per le posizioni di rincalzo: Fernando Alonso si conferma il più costante, chiudendo secondo, nonostante una Ferrari meno competitiva del solito. Mark Webber, compagno di squadra di Vettel, annuncia il ritiro a fine stagione e si posiziona terzo. La Mercedes migliora rispetto agli anni precedenti e comincia a mostrare segnali di competitività. Hamilton chiude quarto, Rosberg quinto.

Il 2014 arriva con una ventata di novità che scuotono la Formula 1: motori turbo V6 ibridi, tecnologie rivoluzionarie e nuove prestazioni. Ma c’è un dettaglio che cattura subito l’attenzione: Lewis Hamilton torna in pista con il numero 44 sul muso della sua Mercedes, un omaggio al suo storico numero portafortuna dai tempi dei kart. La Mercedes è una macchina completamente diversa: incredibilmente performante, affidabile e all’avanguardia. Il duello si trasforma in una sfida “casalinga”: Hamilton contro Rosberg. Come alla fine degli anni ’90.

Hamilton parte fortissimo, vincendo quattro gare consecutive in Malesia, Bahrein, Cina e Spagna, dimostrando sicurezza e determinazione. Rosberg non sta a guardare: risponde vincendo tre delle cinque gare successive, accendendo la sfida tra i due. La stagione è segnata da scontri, incomprensioni e qualche ordine di scuderia ignorato, con momenti di tensione palpabile, specialmente in Ungheria, dove la rivalità esplode in modo visibile. Entrambi i piloti si spingono al limite, a volte oltre, e la pressione dentro il team cresce. Ma è Lewis a imporsi in testa alla classifica, firmando una serie di cinque vittorie consecutive, da Monza fino al Gran Premio degli Stati Uniti, dove conquista il 32° successo in carriera, record assoluto per un pilota britannico. A Indianapolis Nico parte in pole, Lewis è lì accanto, in prima fila. La gara è una battaglia serrata, ma durante la corsa il tedesco deve alzare bandiera bianca a causa di problemi tecnici. Hamilton sfrutta l’occasione, vince e conquista il suo secondo titolo mondiale. Rosberg, alla fine, accetta il verdetto con sportività. “Mi dispiace per come è andata, ma a conti fatti Lewis ha meritato il titolo. Non c’è dubbio, ha fatto meglio di me.”

 

 

Hamilton è ormai una stella ma ha ancora tanta fame di vittorie. Allo stesso tempo, però, fa emergere altri suoi lati creativi. Comincia a scrivere musica, postando foto all’interno di uno studio di registrazione. Tutto in attesa di ritornare a correre. E scontrarsi ancora con Rosberg. I più preoccupati, in tal senso, sono i vertici della Mercedes, soprattutto Toto Wolff. “Come squadra siamo estremamente uniti ma i nostri piloti hanno un rapporto complicato. Ed è un grosso problema. Se dovessi elencare i nostri punti di debolezza direi che sono le dinamiche tra i piloti e, a volte, fra loro e il team”. Ma sono preoccupazioni che, stavolta, rimarranno ancorate alla pre-stagione. Nel 2015 Hamilton è semplicemente imbattibile. Parte a razzo, vince gare su gare, sale sul podio praticamente sempre, e guida con una pulizia e una determinazione che nessuno riesce a emulare. La Mercedes è una macchina da guerra. Rosberg ci prova, si prende qualche vittoria, ma non basta a tenere il passo di Lewis. Vincerà gli ultimi tre GP, riducendo il gap, ma il mondiale è già andato. Anche la Ferrari prova a farsi sentire con Vettel, fresco di passaggio alla Rossa, ma la macchina non è ancora pronta per competere per il titolo. Il tedesco comunque ci mette classe e grinta, portando a casa tre vittorie. Poi ci sono i numeri, roba da urlo. Le Frecce d’Argento, con Hamilton e Rosberg, macinano 16 vittorie e 18 pole su 19 gare. Ma la vera bomba sono i podi: 32 su 38, il nuovo record assoluto, battendo il 31 del 2014 e i 29 della Ferrari nel 2004. Hamilton, poi, fa 17 podi su 19, eguagliando il record detenuto da Vettel nel 2011 e Schumacher nel 2002. Alla fine, Lewis conquista il suo terzo titolo mondiale con largo anticipo. Rosberg si deve accontentare del secondo posto, mentre Vettel si prende il terzo, riportando finalmente la Ferrari sul podio del mondiale piloti. Per Hamilton, però, la statistica più importante è un’altra: con tre titoli vinti raggiunge il suo mito, Ayrton Senna.

 

 

Il riscatto e il ritiro di Nico

C’è un tempo per tutto, almeno per chi ha la capacità di saper aspettare. Il momento di Rosberg arriva nel 2016, la stagione che alza l’asticella della rivalità con Lewis fino a livelli mai visti prima, trasformando ogni gara in un duello psicologico e sportivo al limite. A ripercorrerla ogg, la cronologia degli “sgarbi” è impressionante. Si parte subito forte a Barcellona. Rosberg scatta meglio dalla pole, ma ha problemi con i settaggi e perde velocità in curva. Hamilton prova a riprendersi la testa, ma Nico gli chiude la porta con una manovra al limite: Lewis finisce sull’erba, perde il controllo ed entrambi vanno nella ghiaia. Il palco è tutto per la prima storica vittoria di Max Verstappen. A Monaco, la tensione resta alta. Rosberg soffre sotto la pioggia, mentre Hamilton si muove con disinvoltura tra i muretti. Dopo il primo pit-stop, il tedesco si fa da parte su ordine di scuderia, lasciando strada al britannico che vince la gara. A Montreal la tensione esplode di nuovo. Hamilton parte male, Vettel prende la testa, e Rosberg prova a sfruttare l’occasione. Ma Lewis lo costringe a tagliare una curva, compromettendo la sua gara e le possibilità di vittoria. Hamilton vince, Rosberg è quinto, e le scintille tra i due diventano ancora più incandescenti. L’Austria è il momento del confronto diretto. Rosberg guida la gara, Hamilton lo incalza, feroce. All’ultima curva dell’ultimo giro, Lewis tenta il sorpasso all’esterno. Rosberg frena tardi, allunga la traiettoria e blocca il tentativo del compagno. I due si toccano, Hamilton passa e vince, mentre Nico termina quarto, con una penalità di dieci secondi. Per Rosberg è una beffa amara, un’occasione persa tra rabbia e frustrazione.

L’epilogo arriva ad Abu Dhabi, teatro dell’ultimo atto di questa guerra totale. Hamilton parte in pole ma è dietro in classifica. Rosberg, secondo in griglia, può accontentarsi anche del terzo posto per vincere il titolo. Ma Lewis non molla. Adotta una strategia disperata: spinge al massimo nel primo settore, poi rallenta per far avvicinare Verstappen e Vettel, mettendo pressione a Nico e sperando in sorpassi altrui. I cinque giri finali sono una delle sequenze più tese e combattute della storia recente della Formula 1. Alla fine, Rosberg resiste, taglia secondo il traguardo e conquista il titolo mondiale. Pochi giorni dopo sorprende tutti annunciando il ritiro a soli 31 anni. Aveva raggiunto il suo obiettivo e il suo sogno da bambino. Un addio che chiude uno dei capitoli più intensi e appassionanti della storia della Formula 1. Il 2016 non è stata solo una stagione di numeri e gare, ma la storia di due campioni, compagni di scuderia, che per la loro passione hanno dato tutto. Forse anche troppo. 

Un nuovo rivale

La storia di questo meraviglioso sport, ormai lo abbiamo capito, è fatta di grandi rivalità. Se Nico non c’è più, per Hamilton si apre un nuovo capitolo contro un altro pilota. Stavolta è Sebastian Vettel, anche lui tedesco come Rosberg, e dominatore in passato con la Red Bull. Ora vuole riportare la Ferrari al vertice. Hamilton inizia il campionato 2017 con decisione, mostrando sicurezza e consapevolezza, ma Vettel non è un avversario da sottovalutare: la Rossa è tornata competitiva, più veloce e affidabile.

Il nuovo arrivato in Mercedes, Valtteri Bottas, si inserisce bene, offrendo supporto e stabilità alla squadra. Ma la battaglia vera è quella tra Hamilton e Vettel, che tiene il mondiale aperto fino all’ultima parte della stagione. Le regole tecniche, con monoposto più larghe e performanti, aumentano lo spettacolo e rendono le gare più combattute. In Australia, Vettel conquista la prima vittoria e lancia un segnale forte. In Cina e in Spagna risponde Hamilton, mentre a Monaco la Ferrari fa doppietta. A Baku la tensione tra i due esplode: dietro safety car, Vettel tampona Hamilton e poi lo affianca colpendolo. Un gesto che fa discutere. Vettel viene penalizzato, ma Hamilton ha problemi con la protezione del poggiatesta e perde comunque la vittoria. A Silverstone, Lewis domina in casa, mentre Vettel fora una gomma nel finale e chiude settimo. La stagione prende una svolta: la Mercedes trova continuità, mentre la Ferrari si inceppa nella trasferta asiatica. A Singapore, Vettel sbaglia partenza e si scontra con Verstappen: out al primo giro. Hamilton ringrazia e vince. A Sepang e Suzuka arrivano altri problemi per la Rossa. Il campionato si chiude con tre vittorie di Lewis nelle ultime sei gare e il quarto titolo mondiale in tasca. Vettel si consola con quattro successi, ma è ancora lontano.

Nel 2018 si riparte dallo stesso duello. Entrambi hanno quattro titoli in bacheca, e la sfida vale anche la possibilità di superarsi nella classifica dei più grandi. In realtà, Lewis sta già guardando oltre. Ha 33 anni, una Mercedes fortissima, e un solo vero obiettivo: i sette titoli di Michael Schumacher. La Ferrari parte bene: Vettel vince le prime due gare. Ma da metà stagione, Hamilton prende il largo. Vince 11 GP su 21 e chiude ogni discussione in Giappone, con quattro gare ancora da disputare. Il quinto titolo è tra i più noiosi e prevedibili. Vettel sbaglia troppo, la macchina non tiene il passo e la pressione pesa. Hamilton, invece, guida come un metronomo, senza errori.

Molto più emozionante, invece, è il 2019. Non tanto per la lotta al titolo, anche stavolta vinta da Lewis, ma per la pressione che aumenta sulle sue spalle. Bottas, fedele nel suo ruolo di secondo pilota, contribuisce a rafforzare la leadership del compagno. Hamilton, fuori dal circuito, si dedica alla meditazione, sviluppa una concentrazione feroce, e mostra una maturità sempre più visibile anche fuori dalla pista. È in ‘prima fila’ nell’aiutare la comunità nera e afroamericana nelle sue battaglie, pensa alle minoranze e cerca di dare voce e risonanza alle giuste cause, quelle che lottano per i diritti negati e i soprusi. in pista vince 11 gare e sale sul podio in quasi tutte le altre. Quando conquista il sesto titolo, a Austin, scoppia in lacrime. Sa di essere a un passo dalla leggenda.

Una nuova minaccia, però, sembra profilarsi all’orizzonte. E ha un nome preciso: Max Verstappen. Il più ambizioso della nuova generazione, l’unico che non si accontenta. Corre per la Red Bull, che ha ritrovato potenza e prestazioni dopo anni difficili. L’olandese volante ha fame e talento. E non teme nessuno. Nemmeno Hamilton. Intanto, in casa Ferrari, il ciclo di Vettel si avvicina alla fine. Non è più il leader. Il pubblico italiano ha già gli occhi puntati sul nuovo arrivato: Charles Leclerc. Giovane, esuberante, pieno di energia. Il futuro, probabilmente, passa da lì.

Il settimo sigillo

C’è una spasmodica attesa per il campionato mondiale del 2020. La domanda è solo una: qualcuno riuscirà a impedire a Lewis Hamilton di conquistare il settimo titolo? Qualcuno difenderà il primato solitario di Schumacher? Ma la verità è che tutto cambia quando, in pista, si presenta un nemico non preventivato. Il Covid. In Australia è tutto pronto per le prove. Poi arrivano i primi contagi. E tutto salta per aria. “Purtroppo è la scelta giusta. È una cosa seria”, commenterà Lewis. La stagione comincerà solo quattro mesi dopo, a luglio, in versione ridotta. Da 22 a 17 Gran Premi, con alcune modifiche in calendario, da marzo a dicembre. A Silverstone si corre due volte, il 2 e il 9 agosto, per commemorare il 70º anniversario dalla nascita della Formula 1.

In Austria, all’esordio, il clima è surreale. Nessun pubblico, mascherine ovunque, protocolli rigidi. Hamilton arriva solo quarto, retrocesso di due posizioni dopo un contatto con Albon. Vince Bottas. Ma è solo un’eccezione. Nelle settimane successive tutto torna alla normalità, o a una nuova normalità. Lewis vince 11 delle 14 gare rimanenti. Corre con freddezza, precisione, potenza. La certezza matematica del titolo arriva in Turchia. Su un tracciato bagnato, insidioso. Come sempre, Hamilton gestisce le gomme come pochi saprebbero fare. Taglia il traguardo, vince la gara e conquista il settimo titolo mondiale, raggiungendo il mito Schumacher. È emozionato, commosso, stremato. Alza le braccia al cielo e pronuncia una delle frasi più emblematiche della sua carriera: “Ai ragazzi di tutto il mondo dico: sognate l’impossibile.”

In quelle parole c’è tutto: il Lewis bambino che gioca con le macchinine, il pilota di kart, il devoto allievo di Ron Dennis, il talento che dopo ogni vittoria tornava a casa con suo padre cantando a squarciagola “We Are the Champions”. Ma anche l’uomo fatto e finito, il vincente, il punto di riferimento per la comunità nera, l’attivista, l’icona che non si tira indietro quando c’è da parlare di diritti e di giustizia. Quel bambino partito da Stevenage, con sangue grenadino nelle vene, ha conquistato il mondo dei motori. 

 

 

Max, il guastafeste 

IIl 2021 si presenta come un anno cruciale per Hamilton. A 36 anni non è più un ragazzino, ma molti credono che possa ancora fare un ultimo, decisivo scatto per superare definitivamente Schumacher e issarsi da solo in cima alla storia della Formula 1. L’ottavo titolo, però, è il più difficile da conquistare: una chimera che si allontana con l’arrivo delle nuove Red Bull, pronte a fare un salto di qualità definitivo.  A guidarle c’è Max Verstappen, 24 anni, che ha raggiunto la piena maturità dopo aver mostrato una certa impazienza e impulsività nei primi anni nel circuito. Dodici anni in meno del “razzo” di Stevenage e una voglia matta di rubargli la scena. Hamilton non ci sta a cedere il passo senza lottare. Tanto che la prima gara della stagione se la aggiudica lui, dopo una strenua lotta in pista. Ma quello che tutti capiscono osservando la gara è che la Mercedes è più lenta, più macchinosa, meno agile. La messa a punto perfezionata dalla Red Bull è di un altro livello, di un altro pianeta. L’astuzia e l’esperienza contano in una gara, ma in un campionato lungo diventano inefficaci di fronte alla superiorità tecnica e di velocità. I due si scambiano anche qualche scaramuccia verbale. L’olandese parla di “anni noiosi” senza rivali per Hamilton. Lewis risponde piccato, spiegando come Verstappen abbia tutte le carte in regola per diventare campione del mondo “in futuro”.

La stagione è un’altalena di emozioni, colpi di scena, scontri ruota a ruota e qualche episodio controverso che infiamma il dibattito tra tifosi e addetti ai lavori. I due si sfidano su ogni circuito, si dividono le vittorie, spesso con un livello di aggressività che non si vedeva da anni. Nel Gran Premio d’Italia, Hamilton e Verstappen si trovano fianco a fianco in una lotta serratissima per il primo posto. In un duello al limite, l’inglese, nel tentativo di difendere la posizione, finisce fuori pista dopo un contatto con l’olandese. Verstappen ne approfitta, scappa via e conquista una vittoria fondamentale, mentre Hamilton perde punti preziosi in una stagione già al cardiopalma. Pochi gran premi dopo, la tensione sale alle stelle a Silverstone. Qui succede qualcosa che nessuno si aspettava: Max Verstappen finisce in un terribile incidente al Copse Corner, schiantandosi a quasi 300 km/h dopo un contatto proprio con le ruote di Hamilton. L’impatto è violentissimo. Per fortuna Max esce praticamente illeso, ma la gara termina lì per lui. Hamilton, nonostante una penalità di 10 secondi, prosegue e vince la gara, ma le polemiche esplodono.

In Brasile, Hamilton compie uno dei sorpassi più spettacolari di tutta la sua carriera. A Suzuka, in Giappone, l’olandese restituisce il favore con una zampata decisiva per la classifica mondiale, tenendo viva la speranza di conquistare il titolo. Il gran finale arriva negli Emirati Arabi Uniti, a Yas Marina, dove tutto si decide in un’atmosfera di tensione palpabile. Verstappen e Hamilton arrivano appaiati in classifica, consapevoli che gara e mondiale si decideranno lì, all’ultimo giro. La corsa è un continuo scambio di colpi, con sorpassi, strategie e momenti di altissima pressione. L’episodio che cambia tutto arriva quando la safety car entra in pista dopo un incidente, compattando il gruppo e dando a Verstappen l’occasione di montare gomme fresche, mentre Hamilton resta su pneumatici usurati. Alla ripartenza, nell’ultimo giro, Max sfodera una rimonta prevedibile e sorpassa Lewis, conquistando così il suo primo titolo mondiale in un finale da film, pieno di polemiche per le decisioni dei giudici e di disappunto per la Mercedes. I successivi ricorsi non cambiano le cose. Hamilton è deluso ma, dopo aver fatto comunque i complimenti al rivale, scansa ogni domanda sul possibile ritiro: “Sarò anche vecchio ma non ho finito di correre. Mi sento in gran forma”. In testa, dopo aver superato Schumacher per numero di Gran Premi vinti, c’era solo un ultimo obiettivo: l’ottavo titolo.

 

 

Ma nel 2022 il problema è un altro: la Mercedes non è più competitiva come negli anni passati. È un anno disastroso per Lewis. Verstappen vince agilmente il titolo. Hamilton finisce sesto, perfino dietro al suo compagno di squadra, Russell, quarto. Zero vittorie, zero pole position. Un risultato così negativo da sorprendere lo stesso pilota che, in Francia, aveva raggiunto il traguardo dei 300 Gran Premi disputati in carriera. Le cose non migliorano nel 2023. Per Hamilton, ormai 38enne, arriva la seconda stagione senza successi. Il dominio di Verstappen è imbarazzante: 19 gare vinte. Lewis finisce terzo ma è un terzo posto amarissimo, pieno di frustrazione e difficoltà, nonostante i 6 podi conquistati con una macchina piena di difetti.

L’epilogo più bello è rosso Ferrari

Il vero terremoto arriva a febbraio, prima ancora dell’inizio del Mondiale del 2024: Lewis Hamilton annuncia il passaggio alla Ferrari a partire dall’anno successivo. Una notizia che scuote tutto il paddock. A sorprendere non è solo la decisione in sé, ma anche il tempismo e l’età del pilota inglese. Hamilton sceglie la via più affascinante, più romantica, forse la più difficile a 40 anni: andare a Maranello, unirsi al Cavallino Rampante e provare a riportarlo al titolo che manca dal 2007, proprio l’anno del suo debutto in Formula 1. Prima di tutto ciò, però, c’è un ultimo anno alla Mercedes dove Hamilton torna finalmente alla vittoria, tagliando per primo il traguardo a Silverstone e poi, grazie a una squalifica, ancora in Belgio. Due squilli, due momenti che sembrano riportare indietro il tempo, anche se restano episodi isolati in una stagione comunque deludente, chiusa al settimo posto. Troppo poco per uno come lui.

 

 

Il contratto con la rossa di Maranello è pluriennale. La Ferrari, che nel frattempo ha faticato a trovare continuità tra Leclerc e Sainz, punta su di lui come su una leggenda vivente, capace di portare esperienza, leadership, visione. Ma anche marketing, attenzione mediatica, un’aura che pochi altri atleti al mondo possono vantare. Per Hamilton, è un cerchio che si chiude. L’ultima stagione in Mercedes è stata anonima, quasi malinconica. L’ottavo titolo sembra irraggiungibile, sì. Ma Hamilton non è tipo da arrendersi.

Nel momento in cui questa storia viene pubblicata la stagione 2025 ha raccontato metà della sua storia. L’inizio non è stato semplice. Lewis fatica a trovare il feeling con la Rossa. I risultati latitano, la macchina è difficile da domare, il gap con Red Bull e McLaren è ancora consistente. Chi conosce la sua storia sa però che il primo anno è sempre di assestamento: è il tempo della conoscenza, dell’adattamento, della sperimentazione. Giudicare questo matrimonio adesso sarebbe prematuro. Il tempo stringe, è vero. Ma se c’è una cosa che la carriera di Lewis Hamilton ha insegnato al mondo, è che niente è scritto, niente è scontato. Soprattutto quando lui indossa il casco, cala la visiera e afferra, per l’ennesima volta, il volante tra le mani. 

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