domenica, Luglio 27, 2025
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Quelli della classe del 1985 | Tania Cagnotto

Nel 1985 il mondo aveva il fiatone del Novecento, ma nessuna intenzione di fermarsi. Alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan, al Cremlino Mikhail Gorbaciov. L’Italia di Craxi provava a guardare avanti, tra grandi ambizioni ed enormi contraddizioni. Il 1985 era la Guerra Fredda che cominciava a sciogliersi con l’Europa ancora divisa da un muro. L’anno dei Queen al Live Aid con la Thatcher a Downing StreetMaradona già faceva sognare Napoli, mentre l’NBA scopriva Michael JordanAyrton Senna stringeva forte il volante e il mondo piangeva la strage dell’Heysel. Nell’infinità del cielo si scopriva il buco nell’ozono e dalla profondità del mare riemergeva lo scheletro del Titanic. Era il tempo dei walkman, delle VHS impilate accanto a una TV ingombrante. L’anno del Commodore 64, del primo dominio web quando Internet era solo nella testa di un uomo che viveva a Ginevra. Era una Polaroid che scattava il presente e un fax che consegnava il futuro. Tutti cantavano “We Are the World”, convinti che una canzone potesse unire il pianeta. Al cinema usciva Ritorno al Futuro, in libreria Rumore Bianco.

Ma quarant’anni fa nasceva anche una generazione di atleti che avrebbe riscritto regole e infranto record. C’è chi è ancora lì, in prima linea. E c’è chi ha già voltato pagina. Ma le loro carriere, oggi, raccontano cosa vuol dire resistere, reinventarsi, lasciare un segno. Ecco la grande storia della classe sportiva del 1985 

Capitolo 1, Cristiano Ronaldo

Capitolo 2, Michael Phelps

Capitolo 3, Lewis Hamilton

Capitolo 4, Tania Cagnotto

Per fare un tuffo servono meno di due secondi. E in quei due secondi tutto smette di fare rumore. Al fischio del giudice, che chiama l’atleta sulla tavola, il palazzetto si ammutolisce. Gli allenatori, a bordo vasca, alzano lo sguardo verso il trampolino o, ancora più in alto, verso la piattaforma. Il tuffatore inspira a fondo e poi, davanti agli occhi della giuria, esegue. Se non è una gara individuale ma un tuffo sincronizzato, uno dei due atleti parla e guida. Uno dei ricordi più vividi della carriera di Tania Cagnotto è proprio la sua voce durante le gare in coppia con Francesca Dallapé.

“Pronta?” “Sì.”

Poi il countdown: uno, due, tre. E via, a prendere elevazione, ad avvitarsi o chiudersi in carpiato, a girare nel vuoto con un unico doppio obiettivo: eleganza in cielo e un’entrata pulita, senza schizzi, in acqua. Questa è la storia della più forte tuffatrice italiana di tutti i tempi, nata il 15 maggio 1985.

Una famiglia importante

Tania Cagnotto nasce a Bolzano, una città che da tempo era diventata uno dei punti di riferimento per i tuffi in Italia. Qui la sua famiglia ha già sviluppato un rapporto strettissimo con questo sport. La madre, Carmen Casteiner, aveva lasciato presto l’agonismo, ma era stata un’atleta di grande talento; il padre, Giorgio Cagnotto, aveva contribuito a far conoscere i tuffi grazie ai suoi successi internazionali. Chiuse la carriera a Mosca, nel 1980, con la quarta e ultima medaglia olimpica, a 33 anni. Non erano solo genitori, erano anche allenatori: la madre nei primi anni di età, i più importanti per la formazione di un tuffatore; il padre quando l’attività era diventata più seria e c’era bisogno di un salto di qualità. “Il fatto di chiamarmi Cagnotto non mi ha mai influenzata” ha raccontato nel libro Che tuffo, la vita! (Limina, 2012). “Ho davvero capito la portata delle imprese di mio padre solo quando avevo già cominciato a gareggiare nelle competizioni giovanili”. Quando sono le altre atlete a ricordarglielo.

In questa storia, però, bisogna menzionare anche un’altra figura: il nonno Otto Casteiner, uno dei primi tuffatori italiani. Era uno di quelli capaci di tracciare “il solco iniziale”, uno di quelli che indicano la via maestra a tutti quelli che arriveranno dopo. Nel 1932 divenne campione nazionale dalla piattaforma, in un’epoca senza allenatori, quando gli atleti si aiutavano l’un l’altro, provando, sbagliando e riprovando. Tra quei pionieri c’era anche Karl Dibiasi, padre di Klaus, altra leggenda dei tuffi italiani, che avrebbe gareggiato insieme a Giorgio Cagnotto: un intreccio di dinastie che da Bolzano avrebbero portato gloria ai tuffi italiani, e non solo alle Olimpiadi.

Da bambina, Tania non temeva le altezze. Nel suo libro racconta come a due anni rischiò di cadere dal balcone: si era arrampicata da sola, e si era messa a cavalcioni sulla ringhiera. Non aveva paura, e già allora non le mancavano coraggio e un pizzico di incoscienza. Il suo primo sport, però, fu lo sci: troppo freddo. Poi un passaggio veloce al tennis, finito altrettanto presto. I tuffi arrivarono quasi per inerzia, senza pressioni dalla famiglia, senza un piano preciso. Come fossero la cosa più naturale del mondo. La sua routine da adolescente, una volta entrata seriamente nel giro, era segnata dalla necessità di conciliare scuola e allenamenti. “Entravo a scuola alle sette per fare corsi di recupero, alle otto ero in piscina, a metà mattina tornavo in classe. I professori mi sono sempre venuti incontro. Bisognava trovare un punto d’incontro, sono stata fortunata”.

Un tuffatore, del resto, deve allenarsi tanto. Ha bisogno di essere elastico, leggero nei movimenti. Deve essere dotato di una buona muscolatura e deve curare l’alimentazione e il corpo. Al momento di entrare in piscina, poi, bisogna essere sciolti e caldi. Ma uno dei requisiti fondamentali è avere un’udacia che non conosce limiti. Gli infortuni, invece, fanno parte del rischio e del gioco. Ai tuffi, come in tante altre discipline, bisogna approcciarsi quando si è piccoli. Spesso si passa molto tempo a fare capriole, propedeutiche per quello che verrà, e si diventa molto amici dei tappeti elastici. Non è un caso, peraltro, che molti tuffatori vengano dalla ginnastica artistica. Alla base di tutto c’è l’eleganza, la coordinazione, la ricerca assoluta della perfezione. 

Le prime medaglie giovanili

Il 1999, a un passo dal nuovo millennio, è un anno cruciale per Tania Cagnotto. Per la prima volta, lascia la comfort zone della sua città, della sua piscina, della sua famiglia. In calendario ci sono due appuntamenti. Il primo è Aachen, in Germania, città termale vicina al confine con Belgio e Olanda, scelta quell’anno per ospitare gli Europei giovanili di tuffi. Tania, categoria junior B (14‑15 anni), gareggia sia dalla piattaforma che dal trampolino. Andare in cerca degli archivi per ritrovare i risultati dell’epoca lascia senza parole: subito due medaglie d’oro, piattaforma e trampolino, con l’Italia che festeggia una doppietta grazie al secondo posto di Maria Marconi.

Pochi giorni dopo la seconda tappa: Pardubice, Boemia orientale, Repubblica Ceca. Un posto famoso per l’hockey su ghiaccio e per il pan di zenzero. Qui si alza decisamente l’asticella: vanno in scena i Mondiali giovanili, sempre categoria junior B. Qui Tania sale tre volte sul podio: oro dalla piattaforma e doppio argento dal trampolino. Per la prima volta si misura con altre scuole, altri stili. Ci sono le canadesi, le americane, le russe. Non le cinesi più forti e dominanti, perché Pechino, come sempre, non vuole svelare le sue carte. È un impatto nuovo: spogliatoi dove si parlano lingue diverse, allenatori stranieri che osservano le sue performance, giudici che non hanno mai visto il suo nome. Quella settimana cambia tante cose: diventa da promessa locale ad atleta che ha provato e vinto fuori casa, in contesti dove l’Italia dei tuffi cercava di ritagliarsi uno spazio sempre più importante. Da lì parte un viaggio, con la valigia sempre pronta, che toccherà alcune delle metropoli più belle del mondo. 

Sydney

La prima volta alle Olimpiadi è in Australia, a Sydney, nel 2000. Tania Cagnotto ha quindici anni: è la più giovane della squadra di tuffi e una delle atlete più giovani di tutta la spedizione italiana. In quell’Olimpiade ci sono 361 azzurri, 137 donne e 224 uomini, un record per la nazionale azzurra. Ci sono nomi destinati a entrare nella storia: Josefa Idem, Valentina Vezzali, Fiona May, Alessandra Sensini. Nel nuoto gareggiano giganti come Massimiliano Rosolino e Domenico Fioravanti. Per Tania è un test, un primo impatto con il livello più alto che ci sia nello sport. 

Il villaggio olimpico è un mondo a sé: atleti di ogni disciplina che convivono per settimane, code in mensa accanto a campioni già celebri e giovani promesse al debutto. Fa foto (ancora non c’era la moda dei selfie), incontra, parla, tifa. L’impianto dei tuffi, il Sydney International Aquatic Centre, è tra i più moderni del mondo. È stato inaugurato 6 anni prima e, per l’occasione, arriverà a ospitare fino a 17mila persone. E poi ci sono luci e telecamere ovunque, ci sono le televisioni, giornalisti. 

La Cagnotto è iscritta nel trampolino da 3 metri. Per entrare tra le prime dodici e andare in finale servono punteggi che, a quindici anni, sembrano ancora lontani: quella è la gara di chi è già stabilmente nel circuito internazionale. Conclude la sua prestazione in semifinale, al 18esimo posto. È fuori dalla corsa per le medaglie, ma l’esperienza vale più di un piazzamento: è il primo contatto con un livello con cui sogna (e sente) di poter competere. C’è anche un episodio diventato aneddoto: prima della gara Tania promette a sé stessa che, se dovesse entrare in finale, si tingerà i capelli di blu. La finale non arriva, ma i capelli sì. Una decisione di pancia, di quelle che a quindici anni sembrano inevitabili. Suo padre Giorgio, allenatore e guida, non la prende benissimo, ma fa parte del gioco: l’importante è esserci stata, aver imparato, e aver portato a casa qualunque cosa possa essere utile per il futuro. Sydney è un punto di partenza permanente. Il colore dei capelli, invece, dura poco.

 

Fukuoka e Berlino

Un anno dopo, tutto è già diverso. Ha sedici anni e arriva in Giappone per i suoi primi Mondiali assoluti. Il palcoscenico è di nuovo enorme: Fukuoka ha trasformato la città per l’evento, con strutture temporanee e una piscina da 10.000 posti, piena per ogni sessione di gara. Del resto è la prima volta che la manifestazione si tiene in Asia. Qui ci sono le regine del trampolino da 3 metri: la cinese Guo Jingjing, le russe Ilyna e Pakhalina, la svedese Lindberg, la tedesca Kotzian. L’italiana, però, si destreggia bene. Si qualifica per la finale e chiude sesta, davanti a una delle due cinesi, Liang Xiaoqiao. È un risultato enorme. Non basta per sognare una medaglia ma è un altro grande passo in avanti. Esordisce anche nella gara dalla piattaforma 10 metri, una specialità che ama e sempre amerà, ma lì si ferma alle eliminatorie.

Un altro anno dopo, il contesto cambia: non più un Mondiale, ma un Europeo, a Berlino. È un evento storico, ospitato nel grande Europa-Sportpark, per una città che con gli sport acquatici vuole costruire un legame forte. Tra le atlete iscritte, oltre alle solite note, ci sono la tedesca Anke Piper e la britannica Sarah Barrow. Per Tania, diciassette anni, la medaglia è diventata un obiettivo vero. La gara della piattaforma è quella in cui sorprende: la bolzanina si spinge oltre il suo territorio naturale del trampolino e porta a casa l’argento, proprio dietro la Piper. È la sua prima medaglia internazionale assoluta, il primo podio importante, con tanto di conferenza stampa e flash dei fotografi. Per la prima volta il suo nome comincia a circolare anche fuori dal mondo dei tuffi: l’Italia sportiva, quella che guarda quasi solo calcio, inizia ad accorgersi di lei. In quell’edizione, del resto, è arrivato anche il bronzo nel trampolino sincro con Maria Marconi.

Barcellona

Altra città, nuovi obiettivi. Le aspettative, stavolta, ci sono davvero. I Mondiali di Barcellona del 2003 sono considerati uno degli eventi più belli mai organizzati per gli sport acquatici: la piscina di Montjuïc, costruita per i Giochi del 1992, offre una vista mozzafiato sulla città. Da lassù si vede tutto: il porto, la Sagrada Família in lontananza, il mar mediterraneo. La città è popolata da giovani studenti ed è viva, con le ramblas sempre piene di gente. 

È la prima volta che Tania Cagnotto arriva a un Mondiale non da outsider. Ma la testa non c’è. Rimane fuori dalla finale del trampolino 3 metri e chiude decima dalla piattaforma. Non è solo una questione di numeri: in quelle giornate manca ritmo, manca concentrazione, e tutto ciò che accade fuori dalla piscina sembra pesare più del dovuto. Non è un problema tecnico, è una lezione su quanto conti la gestione della pressione. Barcellona lascia un segno: l’azzurra capisce che fuori e dentro la vasca devono esistere due mondi separati. E che ansie e distrazioni devono restare lontane dal bordo della piscina. È un passo necessario, quasi obbligatorio, per chi vuole competere stabilmente ai massimi livelli.

“Nei pochissimi secondi istanti che trascorrono tra il fischio e il tuffo capita che ti passi per la testa di tutto. Magari pensi a chi è rimasto a casa, oppure a qualcuno che ti sta osservando dalla tribuna. Mi è capitato di sbagliare un tuffo perché non sono riuscita a isolarmi completamente dall’ambiente che mi circondava: ho avuto un calo di concentrazione, roba di un attimo, e ho compromesso la gara. Io dico sempre che i tuffi sono per il 90% una questione di testa. Puoi arrivare a un appuntamento importante al massimo della forma ma se poi hai la capoccia da un’altra parte… è finita”. Il periodo tra il 2003 e il 2024 è intenso anche fuori dall’acqua: Tania compie 18 anni, prende la maturità, la patente, e comincia a costruirsi un equilibrio nuovo tra la vita di una ragazza normale e la routine da atleta di alto livello, una professionista.

Madrid e Atene

L’occasione per un riscatto arriva quasi subito, ancora in Spagna, ma stavolta non a Barcellona. Il palcoscenico è Madrid, sede dei Campionati Europei 2004. La vigilia non è serena: un infortunio serio a un legamento della caviglia mette in dubbio la sua partecipazione. La stagione è stata un continuo alternarsi di fisioterapia, allenamenti ridotti e la paura di non riuscire a competere al massimo. Fino all’ultimo giorno resta il dubbio: partire o non partire?

Alla fine parte, gareggia e sorprende tutti. Dai 10 metri centra la prestazione perfetta e vince l’oro: è la prima volta in una manifestazione internazionale senior che, dal gradino più alto del podio, può ascoltare l’inno italiano. Supera atlete esperte come Olena Zhupina e Ioulia Timoshinina. Sul terzo gradino del podio sale Valentina Marocchi, completando la festa azzurra. Cagnotto aggiunge anche un bronzo dal trampolino 1 metro, confermando la sua versatilità.

Agosto porta con sè i Giochi Olimpici di Atene, la seconda Olimpiade della sua carriera ma la prima da atleta davvero competitiva. Stavolta non c’è solo la voglia di fare esperienza: c’è la consapevolezza di poter puntare alla finale sia nel trampolino 3 metri, sia nella piattaforma. È anche l’anno in cui i tuffi femminili raggiungono uno dei punti più alti della loro storia: ci sono le cinesi Guo Jingjing e Wu Minxia, la russa Pakhalina, le australiane e le canadesi che, pur un gradino sotto, sono sempre pronte a giocarsi il podio. E anche i tuffi diventano più complessi, più difficili. Basta un’altra frase tratta dal libro per capire la fatica e lo sforzo di sviluppare un programma sempre più impegnativo. “I tre salti mortali e mezzo dal trampolino di tre metri sono l’equivalente della Cima Coppi per un ciclista che partecipa al Giro d’Italia”.

Alla fine per Cagnotto ci sono due ottavi posti: ottava nel trampolino, ottava nella piattaforma. Due finali olimpiche, a diciotto anni, non sono un traguardo per tutti. Il 2004 certifica ciò che sta accadendo nella vita di Tania: i tuffi sono un lavoro vero, con obiettivi chiari e misurabili. E in quell’anno c’è la consapevolezza che, con il tempo e l’esperienza giusta, il divario con le cinesi e con le veterane più esperte può essere davvero colmato.

Montreal

Per Tania Cagnotto, Montréal non è solo una tappa nel suo calendario agonistico: è un luogo di famiglia. Qui, quasi trent’anni prima, suo padre Giorgio aveva vinto l’argento olimpico dal trampolino, il 22 luglio del 1976, diventando uno dei simboli dello sport italiano. Nel 2005, la data della finale del trampolino da 3 metri coincide proprio con quel giorno, il 22 luglio, come un cerchio che sembra chiudersi. L’inizio del Mondiale, però, è difficile. Nella piattaforma 10 metri entra in finale senza problemi ma la prestazione non è quella sperata: errori nei primi due tuffi, punteggi bassi, ritmo mai trovato. Chiude decima. Una delusione che pesa, anche perché quella era considerata la gara con le chance maggiori di vincere una medaglia.

Mancano trentasei ore alla gara del trampolino, tempo sufficiente per resettare la testa, anche se l’umore è sotto i tacchi. I 3 metri sono sempre di più la sua specialità. Con la piattaforma ha avuto per lungo tempo un feeling speciale, sensazioni complici, ma i risultati migliori, quelli più sofferti, arriveranno dal trampolino. In qualificazione è pulita nei gesti, precisa, con il sesto punteggio d’accesso alla finale. La gara, quando conta davvero, cambia volto. È subito chiaro che le due cinesi, sempre loro, Guo Jingjing e Wu Minxia, giochino in un’altra categoria: perfette, irraggiungibili. Ma dietro di loro è aperta la sfida per il bronzo: Tania è lì con la svedese Anna Lindberg, una veterana dall’eleganza sopraffina, e con la russa Julija Pakhalina, una leggenda che vincerà tutto.

L’atmosfera nello Stade aquatique du Parc Jean-Drapeau è particolare: piove leggermente, un fastidio sottile per atlete e pubblico. A un certo punto, però, la pioggia aumenta. La competizione viene sospesa per una mezz’ora. È una pausa che rompe il ritmo a molte, ma non all’azzurra. Al rientro sul trampolino, la concentrazione è totale. L’ultimo tuffo è il doppio salto mortale e mezzo rovesciato: pulito, elegante, con un’entrata quasi perfetta. Sugli schermi appaiono diversi nove.

Quando arriva il punteggio finale, la classifica parla chiaro: bronzo mondiale. Davanti a lei solo Guo e Wu, dietro Pakhalina e Lindberg. È la prima medaglia italiana ai Mondiali di tuffi al femminile, un risultato che cambia la percezione di tutto un movimento. La festa è immediata: “Mio padre era felice come non lo avevo mai visto, a un certo punto ci hanno buttati tutti e due in acqua”. Un tuffo diverso dagli altri, spontaneo, simbolico: padre e figlia nello stesso impianto, nello stesso giorno di luglio, due generazioni unite da un podio mondiale.

 

La parentesi Houston

Nel 2005, oltre al bronzo mondiale, arriva anche un cambio di vita. Tania decide di passare un anno fuori dall’Italia, per crescere come atleta e come persona. La scelta cade su Houston, Texas: un’esperienza che significa studiare e allenarsi all’interno di un college americano, un sistema completamente diverso da quello italiano. Ci sono le gare della NCAA, il circuito universitario più competitivo del mondo, e la vita insieme ad altre tuffatrici e a coetanei impegnati in discipline diverse. Ma i ritmi sono altissimi, le gare frequenti, si viaggia tutti i weekend, lo stress è costante. A tutto questo si aggiunge un imprevisto che segna profondamente quell’esperienza: l’uragano Rita, che mostra a Tania l’impatto reale del clima estremo in quelle zone, la paura e l’organizzazione necessaria per affrontare un’emergenza di quel tipo.

Nel suo libro, Tania inserisce una lettera indirizzata al padre Giorgio, una delle pagine più intime della sua carriera, scritta in quei giorni. Racconta delle difficoltà di quei mesi e di quanto fosse complicato, soprattutto sul piano professionale, allenarsi lontano da casa. Ci sono passaggi che raccontano la crescita maturata in quelle settimane. Il primo è sulla necessità di trovare un equilibrio tra vita e tuffi: “Ho capito che ogni posto, dopo un po’, diventa monotono”. Un pensiero che rivaluta la tranquillità di Bolzano, la sua dimensione familiare. Un altro punto riguarda la consapevolezza del rapporto con suo papà: “Ho capito che io mi voglio allenare con te e che abbiamo un feeling che non riuscirò a trovare con nessun altro allenatore”. Infine, c’è una vera e propria dichiarazione d’amore per i tuffi: “Non avrei mai pensato che mi potesse davvero cambiare la vita questo sport. Forse perché è una delle cose che conta di più”.

Melbourne

Per la prima volta, nel 2007, i Mondiali si disputano a marzo. Non è un dettaglio secondario: cambia la preparazione, sposta il calendario, obbliga ogni atleta a rivedere la tabella di marcia di avvicinamento ai grandi eventi. Tania Cagnotto gareggia ancora in entrambe le specialità, trampolino e piattaforma, con l’attesa di capire se la medaglia conquistata a Montréal due anni prima possa essere difesa. A metà della semifinale dalla piattaforma, però, accade l’imprevisto: durante il riscaldamento, saltando su un tappetino elastico, mette male una caviglia. Dolore immediato, fasciatura rapida, paura. Ma non c’è tempo: la gara va continuata. Il risultato è inevitabilmente compromesso. Chiude tredicesima, la prima delle escluse dalla finale.

Rimane il trampolino da 3 metri. C’è qualche giorno per recuperare, e il dolore si attenua. Il lavoro di forza, fondamentale per un tuffatore moderno, sembra reggere. “Una volta i tuffatori facevano meno palestra – racconta Tania – oggi bisogna trovare un punto d’incontro tra potenza e agilità: più potenza imprimi sulla tavola, più elevazione ottieni e più spazio hai per completare il tuffo”. La conferma di un miglioramento arriva nel momento decisivo. Il doppio e mezzo ritornato, uno dei suoi tuffi più complessi e rischiosi per le caviglie. Nonostante le sollecitazioni fisiche, lo esegue con precisione. Anche il doppio e mezzo rovesciato, altro cavallo di battaglia, è un buon tuffo, soprattutto l’entrata in acqua. “In quel momento io, di solito, mi rendo conto di come è andata. È come se già vedessi i voti della giuria. Raramente esco dalla piscina e rimango stupita del punteggio che mi è stato attribuito”. In finale la russa Julija Pakhalina, campionessa olimpica, commette un errore. Alla fine è di nuovo bronzo mondiale, dietro solo alle cinesi, come a Montréal. Curiosamente, anche questo podio arriva dopo un avvio di gara difficile. Tutto diventa quasi una scaramanzia. Del resto, lo aveva detto anche dopo l’infortunio che l’aveva colpita a Madrid: “Perché vada tutto bene in una grande competizione deve prima succedermi qualcosa di negativo”. E Melbourne non ha fatto eccezione.

Pechino

La terza Olimpiade di Tania Cagnotto è quella con le aspettative più alte. A ventitré anni non è più un’esordiente, non è più una sorpresa: è la tuffatrice di riferimento in Italia e una delle migliori d’Europa e del mondo. L’impianto olimpico di Pechino, il celebre Water Cube, è una delle meraviglie architettoniche dei Giochi: un cubo blu fluorescente, luminoso anche di notte, con tribune sempre piene e un’atmosfera quasi irreale. Dentro, l’acqua sembra più azzurra, più ferma, e i rumori del pubblico vengono ovattati dalla struttura, creando una sensazione di sospensione.

La bolzanina arriva in Cina con un obiettivo chiaro: confermarsi tra le migliori nel trampolino da 3 metri. La concorrenza è altissima: la Cina schiera sempre le sue due fuoriclasse, Guo Jingjing e Wu Minxia, praticamente imbattibili. La Russia si affida ancora alla Pakhalina, tornata però ad altissimi livelli. La novità arriva dal Canada che punta tutto su Blythe Hartley, stabilmente tra le prime cinque al mondo. È una tuffatrice che punta tutto sulla potenza, sull’energia. E fa paura. La qualificazione alla finale non è un problema: è un passaggio ormai consolidato, la conferma di un livello stabile da top ten mondiale. In finale, poi, Tania parte bene ma, a metà gara, si ritrova già lontana dalle medaglie. Ha commesso solo qualche piccola imprecisione ma, in una gara con punteggi altissimi, pesano. Le altre quattro pretendenti al podio sono praticamente perfette. Alla fine chiude quinta, il suo miglior piazzamento olimpico fino a quel momento.

C’è però un dettaglio che resta nella memoria di tutti: all’ultimo tuffo, il doppio e mezzo rovesciato, i giudici assegnano un 10 pieno. Un voto rarissimo, soprattutto in una finale olimpica. È un momento di orgoglio personale, di estrema gioia, un segnale di ciò che può ancora fare, di quanto può ancora crescere. L’avventura cinese è importante anche per un’altra scelta: quella di lasciare definitivamente la piattaforma da 10 metri. È stata l’ultima volta in cui Tania ha affrontato entrambe le specialità. Troppo difficile mantenere due programmi completi a quel livello; da quel momento si concentrerà solo sul trampolino, la gara che le regalerà la gloria sportiva.

Un nuovo sincro

Francesca Dallapé è trentina, specialista del trampolino, con un carattere istintivo e deciso. E con un modo di stare in pedana quasi opposto a quello di Tania Cagnotto, più riflessiva e attenta a ogni piccolo dettaglio. La loro unione nasce come un esperimento della Federazione: provare a costruire una coppia capace di competere stabilmente con le nazionali storiche e vincere anche nei tuffi sincronizzati. Insomma, insidiare Cina, Russia, Ucraina, Canada, Australia, Messico e Germania.

All’inizio non è semplice: sincronizzare due stili così diversi significa provare e riprovare ogni particolare, dalla rincorsa all’ingresso in acqua. Ci sono regole precise. “Io riesco a seguire la mia compagna con la coda dell’occhio fino al momento dello stacco dalla tavola, poi penso solo a me stessa, a completare il tuffo nel migliore dei modi. Una volta in acqua basta scambiarsi rapidamente uno sguardo per capire come è andata”. Si allenano con tenacia per ottenere un decollo identico, un’angolazione di rotazione uguale al millimetro. “All’inizio ci guardavamo negli occhi come due sconosciute”, ha detto Tania, “poi abbiamo trovato un’intesa naturale, anche fuori dall’acqua”. Quell’intesa diventa la loro forza: mentre le altre coppie cambiano spesso composizione, loro restano insieme, costruendo fiducia e automatismi.

Torino, Roma. L’anno italiano

Europei a Torino, Mondiali a Roma. La primavera e l’estate del 2009 costituiscono un periodo incredibile per Tania Cagnotto. Dopo aver girato il mondo ci sono, finalmente, due grandi eventi in Italia. Significa tifo, autografi, foto, attenzione dei media e della gente. Un’esplosione di affetto e sostegno. La città sabauda, per di più, è la casa di papà Giorgio. E sugli spalti comparirà anche la nonna, Elda, che finalmente può vedere gareggiare la nipote. L’ambiente, all’nterno della storica Piscina Monumentale, è incandescente. Tutti scandiscono il suo nome, tutti aspettano di vederla. C’è anche chi è rimasto fuori, i biglietti sono andati a ruba.

La prima finale, quella del trampolino da 1 metro, è quasi un atto d’apertura, una prima scena di un monologo teatrale. L’azzurra esegue una serie di tuffi precisi ed eleganti, con un vantaggio tecnico e ritmico evidente rispetto alle avversarie. Vince l’oro, precedendo di circa dieci punti la connazionale Maria Marconi e di oltre trenta la tedesca Dieckow. Il giorno seguente affronta il trampolino da 3 metri. Anche qui esegue come fosse una macchina: sequenza solida, avvitamenti perfetti, ingresso pulito in acqua. Porta a casa un secondo oro, confermando una superiorità tecnica e una forma mentale da grande competizione. L’unica che prova a darle fastidio è l’ucraina Fedorova, ma non ha chance. Il terzo giorno è quello del trampolino sincro 3 metri, in coppia con Francesca Dallapé, Tania gareggia di nuovo senza esitazioni. Il duo è praticamente agli esordi ma mostra una sincronia totale, movimenti speculari e una compenetrazione visiva che convince i giudici. Terzo oro consecutivo, ancora davanti a nazionali come Germania e Russia. È la prima volta in assoluto, tra uomini e donne, che una singola atleta conquista tre ori in una sola edizione degli Europei.

Con questo spirito si arriva a Roma. Il livello, qui, è decisamente più alto, ma anche il tifo è ancora più grande, più appassionato. Il Foro Italico diventa un’arena rumorosa come un palazzetto di basket, con tribune piene e un’attenzione mediatica nuova per una disciplina che raramente aveva trovato spazio fuori dalle pagine specializzate. Per Tania Cagnotto è la prima grande occasione di gareggiare davanti al pubblico di casa non come outsider, ma come atleta affermata: ha già diverse medaglie internazionali e l’esperienza di tre Olimpiadi. Crescono l’ansia e le aspettative. Gareggiare in casa è bellissimo, ma può anche essere insidioso. Inizia come sempre, per sciogliere il ghiaccio, con la gara dal trampolino 1 metro. Salta bene, con eleganza, ma finisce quarta, la “medaglia di legno”.

Sugli spalti, per l’appuntamento del trampolino da 3 metri, l’elettricità è palpabile: ogni ingresso in acqua è accompagnato da un boato. A vincere è la solita Guo, regina dei tuffi, mentre l’altra cinese, la giovane He Zi, più inesperta, sbaglia e resta giù dal podio. L’argento va alla canadese Emilie Heymans, passata dalla piattaforma al trampolino con grande successo, e che a Roma azzecca la gara perfetta. C’è gloria anche per l’Italia: Tania Cagnotto conquista il bronzo. È un risultato enorme, ma con qualche rimpianto: “Un bronzo con il freno a mano tirato”, dirà. L’ansia, forse, non le ha certamente impedito di salire sul podio, ma le ha tolto quella libertà mentale per puntare ancora più in alto. La premiazione, però, è un’esplosione: grida, applausi, cori. È la festa che tutti aspettavano e che Tania meritava dopo anni di sacrifici.

Pochi giorni dopo di podio ne arriva un altro: nel trampolino sincro con Francesca Dallapé. È il primo mondiale della coppia e vale l’argento, dietro alle inarrivabili cinesi e davanti a tutte le altre, anche quelle storicamente più abituate a quei palcoscenici. È un traguardo storico: per la prima volta l’Italia porta a casa due medaglie mondiali femminili nei tuffi in un’unica edizione. Il pubblico esplode e si fatica a contenere l’entusiasmo. “Sentire quel boato è stato diverso da qualsiasi altra gara – dirà Tania – per la prima volta ho capito cosa significa avere un Paese intero che ti sostiene”.

Budapest e Shanghai 

Agli Europei di Budapest, nel 2010, la coppia Cagnotto–Dallapé si presenta con ambizioni da protagoniste. L’Italia dei tuffi femminili non è più una sorpresa, ma una realtà. Tania, al solito, inizia dal trampolino 1 metro, dove vince l’oro con 299,70 punti davanti alla svedese Lindberg. Qualche giorno dopo arriva il trampolino sincronizzato 3 metri: la coppia italiana domina con 327,90 punti, staccando nettamente le tedesche Katja Dieckow e Uschi Freitag. Sono tutti buoni segnali, nonostante una gara dal trampolino 3 metri priva di soddisfazioni, in vista dei mondiali di Shanghai. Ancora Cina.

Prima di partire per l’Asia, però, succede un imprevisto serio e compromettente: il famoso incidente in motorino. Una macchina, a Bolzano, non le dà la precedenza e l’impatto è inevitabile. “Mi guardo il ginocchio e non è una grande idea: il pantalone è strappato, si vede la carne aperta, addirittura l’osso. Mi sarò rotta qualcosa?”. La paura di una risposta positiva è angosciante. Il ginocchio, per fortuna, non ha lesioni ai legamenti, ma lo scafoide è fratturato. È un osso piccolo ma fondamentale per l’articolazione della mano, e quindi anche per una tuffatrice. È necessaria un’operazione, la prima della sua vita, seguita da settimane di riabilitazione con tutore e fisioterapia. Il primo salto dopo l’incidente arriva solo un mese dopo, con l’evento cinese ormai alle porte.

Paradossalmente, presentarsi a Shanghai con pochi allenamenti e nessuna aspettativa aiuta: la pressione si allenta. E i risultati arrivano comunque. Tania conquista il bronzo nel trampolino 1 metro, ormai una specialità più che solida (ed è un peccato che non sia nel programma olimpico), chiude nona nel trampolino da 3 metri e sesta nel sincro con Francesca Dallapé. È un Mondiale buono ma amaro. Nel 2012, agli Europei di Eindhoven, arriva la conferma definitiva per la coppia Cagnotto-Dallapé: arriva un altro oro nel sincro. È il miglior viatico possibile per le Olimpiadi di Londra

Londra

Tania arriva alla sua quarta Olimpiade nel pieno della maturità, con un palmarès importante e una coppia di sincro ormai consolidata, pronta per il podio. Il London Aquatics Centre, progettato da Zaha Hadid, è uno degli edifici simbolo di quei Giochi: linee ondulate, tribune temporanee da 17.500 posti e una posizione centrale nel parco olimpico di Stratford. La gara più attesa dagli italiani è quella del trampolino sincronizzato. Le azzurre partono bene, le esecuzioni sono pulite, il sincronismo preciso, gli ingressi con poche sbavature. Poi basta un tuffo leggermente sbagliato, un giudizio più severo, e si resta indietro. Il tabellone alla fine è crudele: oro alla Cina (He Zi, Wu Minxia), argento agli Stati Uniti (Bryant e Johnston), bronzo al Canada (Heymans e Abel), Italia quarta per meno di due punti. L’uscita dall’acqua è silenziosa, davanti alle telecamere le due atlete non riescono a nascondere il disappunto. “Ci abbiamo creduto fino alla fine” dirà Tania “ma ci è mancato il fattore C…”.

Nell’individuale il destino è ancora più beffardo. La Cagnotto chiude la gara ancora quarta, dietro alle due cinesi e alla messicana Laura Sanchez. Per soli venti centesimi di punto sfugge una medaglia che l’azzurra sta inseguendo da anni. Nonostante il record personale di punti. Due medaglie di legno nella stessa edizione, l’incubo peggiore che un atleta può vivere. Soprattutto alle Olimpiadi. In un’intervista a Oggi, a mente fredda, Cagnotto racconterà la frustrazione provata in Gran Bretagna: “È successa la cosa peggiore per uno sportivo: restare fuori dal podio per pochissimo. Il mio obiettivo era quello di conquistare una medaglia. Sapevo che era nelle mie corde, conoscevo le avversarie ed ero convinta di potermela giocare alla pari. Poi la messicana ha fatto la gara della vita… l’avevo sempre battuta”. Una delusione che si allarga anche al suo papà-allenatore: “È stata una batosta anche per lui e io ho sofferto il doppio dato che sapevo quanto ci tenesse a una medaglia. Mi succede spesso di provare un dolore più grande quando fallisco un obiettivo: con un altro allenatore forse sarebbe più facile, perché mi sentirei meno coinvolta. Ma so che lui si aspetta molto da me”. Eppure, Giorgio Cagnotto, sa quanto è forte e generosa sua figlia. Nella prefazione al libro c’è una frase che racconta tutto del loro rapporto professionale: “È il grande atleta a fare grande l’allenatore, non viceversa”. E Tania è stata sicuramente una grandissima atleta.

Barcellona e Berlino (di nuovo)

Dieci anni dopo la delusione del 2003, Tania Cagnotto torna a Barcellona. È un ritorno carico di simbolismi: la stessa piscina di Montjuïc dove aveva faticato a trovare concentrazione e lucidità. Stavolta arriva con un’altra consapevolezza: è la leader di una squadra italiana in crescita, con Francesca Dallapé come compagna stabile nel trampolino sincronizzato e un ruolo, a 28 anni, da veterana. La prima gara è proprio quella del sincro 3 metri. La Cina schiera due regine della specialità, Wu Minxia e Shi Tingmao, che partono favorite e mantengono le attese della vigilia. Dietro, però, la lotta è aperta. Le canadesi Jennifer Abel e Pamela Ware spingono forte, restano in scia, ma Tania e Francesca tengono alta la qualità dall’inizio alla fine. Nessun errore pesante, ingressi puliti, sincronismo preciso: è argento mondiale, il primo della loro carriera insieme e la prima medaglia iridata della coppia. Pochi giorni dopo arriva la gara individuale dal trampolino 1 metro. Tania parte forte, si mette davanti già dal secondo giro di tuffi e mantiene la leadership quasi fino alla fine. Ma la cinese He Zi, con un ultimo salto praticamente perfetto, le soffia l’oro per dieci centesimi di punto. È un argento storico, il primo conquistato in una gara individuale ai Mondiali, ma con il rammarico di non essere riuscita a stare davanti alla cinese. Nell’individuale da 3 metri arriva poi un quarto posto: niente medaglia, ma è un’edizione comunque da ricordare.

Il 2014 è l’anno degli Europei di Berlino. Qui l’atleta trova la massima espressione della sua stabilità tecnica e mentale. Vince l’oro dal trampolino 1 metro con 289,30 punti, davanti a tutte le rivali europee, e soprattutto domina ancora il sincro 3 metri con Francesca Dallapé: è il sesto titolo europeo consecutivo per la coppia (arriveranno a 8 totali), con 328,50 punti e un margine ampio sulle tedesche Katja Dieckow e Nora Subschinski. Nell’individuale 3 metri, invece, conquista un argento con 318,25 punti, battuta solo per pochi punti dalla solita svedese, Anna Lindberg. È iniziato qui il “Road to Rio”, a caccia di riscatto. L’ultima, forse, carta da giocare per lasciare un segno indelebile anche alle Olimpiadi. 

Kazan

Prima di Rio c’è un’altra tappa fondamentale: i Mondiali di Kazan del 2015. La città russa, giovane e in piena espansione, è lontana dai circuiti normali ma è anche diventata un punto di riferimento per i grandi eventi sportivi. Per i tuffi italiani rappresenta l’occasione di dimostrare che Barcellona 2013 non è stato solo un episodio isolato. L’esordio, indovinate, è il trampolino da 1 metro. Qui trova l’equilibrio perfetto tra pulizia tecnica e concentrazione. Con 310,85 punti vince l’oro mondiale, il primo della sua carriera individuale e il primo femminile nella storia dei tuffi italiani. Si è lasciata, finalmente, alle spalle le cinesi Shi Tingmao (+1,75) e He Zi (+10,55), la stessa che due anni prima le aveva strappato l’oro per pochi centesimi. È un successo storico: “Sono al settimo cielo – dirà Tania nel post-gara – è un sogno che si è realizzato”. La festa non si ferma qui. Nel sincro 3 metri con Francesca Dallapé arriva un argento pesantissimo, dietro solo alle cinesi ma davanti alle canadesi Jennifer Abel e Pamela Ware, con cui da anni si contendono il secondo posto mondiale. È la conferma che la coppia italiana è ormai stabilmente tra le migliori due del pianeta. Completa il bottino un bronzo nel trampolino 3 metri individuale, a testimonianza della continuità ad altissimo livello. In totale sono tre medaglie, un record storico per l’Italia dei tuffi in un’unica edizione mondiale.

 

 

C’è anche un forte elemento emotivo: quello dell’ultimo tuffo mondiale della carriera di Tania. “Questo è il mio ultimo tuffo mondiale, posso dire di aver chiuso in bellezza. È uno dei momenti più belli della mia vita”, racconta, mentre il padre e allenatore Giorgio Cagnotto si commuove a bordo vasca: “Questo successo ci mancava, ma c’erano i presupposti. Ha puntato alla gara con la determinazione giusta e ha fatto veramente una buona prestazione. Una fettina di medaglia la diamo anche alla mamma, che da casa ha sofferto insieme a noi”, diranno ai microfoni della Rai. Dopo quarant’anni, l’Italia torna sul gradino più alto di un Mondiale di tuffi: prima di lei ci era riuscito solo Klaus Dibiasi negli anni ’70. Kazan diventa così non solo il momento più alto della carriera di Tania, ma anche un passaggio storico per tutto il movimento.

Rio, l’ultimo atto

Quando le cose accadono al foto-finish, in zona Cesarini, sono ancora più belle. All’Aquatics Centre di Rio De Janeiro, nonostante l’acqua della piscina assuma un inquietante color verde-grigio, si respira solo tensione olimpica. Per Tania Cagnotto, il giorno della finale dal trampolino 3 metri femminile è l’ultima, definitiva chance di conquistare una medaglia individuale olimpica dopo una carriera segnata da piazzamenti di prestigio. Nella semifinale è solo settima. A dirla tutta, non un segnale incoraggiante. Ma quando la finale inizia, tutto cambia. I primi tre tuffi sono tecnicamente perfetti. A giocarsi tutto, restano in quattro. Le due cinesi, Shi Tingmao e He Zi, per l’oro e l’argento. Jennifer Abel e Tania Cagnotto, per il bronzo.

Il quarto tuffo sembra riaprire ferite del passato: Abel esegue un salto quasi perfetto e la supera in classifica. Ma l’ultimo giro è sempre quello della comfort zone: il doppio salto mortale e mezzo rovesciato carpiato, il suo marchio. Lo esegue in modo impeccabile. La giuria le assegna 81,00 punti, un punteggio raro nelle finali olimpiche. Abel, per mantenere il bronzo, deve ottenere più di 74,00 punti: ne fa 69.00, commettendo un piccolo errore. Alla fine per l’azzurra ci sono 372,80 punti, record personale olimpico e medaglia di bronzo. Finalmente, la medaglia olimpica tanto ambita, tanto desiderata, è sua.

 

 

Prima di Londra 2012, aveva ripercorso le sue esperienze ai Giochi: “A Sydney ero una bambina, l’ho preso come un gioco. Ad Atene ci ho provato, ma davanti avevo ancora troppi mostri sacri. A Pechino un pensierino alla medaglia l’ho fatto, solo che c’è stato chi ha azzeccato la gara della vita e sono rimasta ai piedi del podio”. In Gran Bretagna, accade lo stesso. Rio, che non era ancora nel mirino, guarisce tutto, ogni ferita sportiva. Il podio è una liberazione.

La storia non finisce qui: pochi giorni prima aveva infatti conquistato anche l’argento nel sincro 3 metri, sempre insieme a Francesca Dallapé. Gara pulita, chiusa dietro solo alla coppia cinese Shi Tingmao e He Zi, davanti all’Australia: per entrambe era quella la prima medaglia olimpica. Per la prima volta una atleta italiana vince una medaglia nei tuffi olimpici, sia nell’individuale che nel sincronizzato: un risultato che scrive la storia. È il sigillo di una carriera eccezionale. “È la mia chiusura perfetta – dirà poi a Raisport – una medaglia olimpica e un oro mondiale li mettevo sullo stesso piano. Uno l’ho già vinto, ora ho anche l’altra”.

Gli ultimi anni

Dopo Rio 2016 cambia tutto. La medaglia olimpica, inseguita per una vita, è finalmente al collo. Non è un punto di arrivo qualunque: è il risultato di più di vent’anni di sacrifici e una soddisfazione che permette di guardare al futuro con più serenità. Nel 2018 Tania si ferma: nasce Maya, la figlia avuta con Stefano Parolin, e la priorità diventa la famiglia. Sembrava il preludio a un ritiro definitivo: lei stessa annuncia l’addio, convinta di aver chiuso nel modo più bello possibile. Ma nel 2019 succede l’imprevisto. La Federazione e Francesca Dallapé la convincono a tentare un ritorno lampo per provare a qualificare l’Italia ai Giochi di Tokyo 2020 nel sincro: due mamme, una nuova Olimpiade, la sesta della carriera di Tania.

Poi, però, arriva la pandemia, il Covid, il rinvio dei Giochi. Così, l’8 agosto del 2020, Tania annuncia di essere incinta per la seconda volta. A quel punto la decisione è inevitabile: niente Olimpiadi, è lo stop definitivo. Le sue parole affidate ai social spiegano bene il momento: “So che molti di voi volevano vedermi ancora una volta sul trampolino e mi spiace di avervi deluso, ma in questo lockdown ho avuto tempo di riflettere e capire cosa fosse più importante per me. Non avevo più quella forza di volontà – che per 20 anni mi ha guidato – di impegnarmi e sacrificarmi nel modo che un’Olimpiade richiede. Ho sempre onorato tutte le Olimpiadi e non potevo non farlo anche questa volta”.

Si chiude così la carriera della più forte e talentuosa tuffatrice italiana. Nella bacheca ci sono 62 medaglie di cui, come abbiamo visto, due conquistate alle Olimpiadi. Le altre sono arrivate ai mondiali (10), agli europei (29), alle competizioni giovanili (21). A queste medaglie vanno poi aggiunti 47 titoli italiani nelle diverse specialità. Tania Cagnotto, come suo nonno quasi un secolo prima, ha tracciato un solco e una via da seguire. Un’eredità che resterà per sempre nello sport italiano e che ispirerà generazioni di tuffatori e tuffatrici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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