venerdì, Giugno 13, 2025
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Scorsese “deluso” da Trump: “Controproducente il suo atteggiamento basato su rabbia e odio”

AGI – “Sono deluso da Donald Trump”. Lo ha detto Martin Scorsese, intervenendo al Taormina Film Fest, rispondendo a una domanda sul ritorno presidente repubblicano alla guida degli Stati Uniti. “Non sono un filosofo politico – ha aggiunto – ma credo che un atteggiamento come il suo, basato su rabbia e odio, finisca per essere controproducente perfino per sé stesso. E tutto questo fa male alle persone. È profondamente tragico”.

Il regista, premio Oscar per The Departed, ha espresso forte preoccupazione per il clima politico e sociale negli USA: “In questa amministrazione non vedo compassione. Anzi, sembra che si compiacciano del contrario: ferire, umiliare”. A preoccupare Scorsese è anche la crisi della verità nell’era digitale: “Con l’intelligenza artificiale non sappiamo più cosa sia vero. Vedo una foto e devo chiedermi se è reale o generata. A volte nemmeno riesco a capire se ciò che sto guardando è vero o falso. E questo mina alla radice la nostra percezione della realtà”.

“A volte penso, sì, questa potrebbe essere la fine della democrazia – ha proseguito – ma poi mi dico: no, forse sta solo venendo messa alla prova”. Due, secondo Scorsese, i nodi centrali: “Il primo è quanto potere può esercitare un presidente, fin dove può arrivare. Il secondo è quanto a lungo il popolo americano sarà disposto a tollerare politiche che potrebbero avere costi sociali ed economici pesanti, come nel caso dei dazi”.

Il regista ha infine lanciato un messaggio alle giovani generazioni: “I ragazzi che crescono in contesti violenti spesso non si rendono conto della realtà in cui vivono. Vanno sostenuti, aiutati a diventare consapevoli. E bisogna stare molto attenti alla rabbia: può anche essere giusta, può spingerti ad agire, ma può anche consumarti”.

Scorsese, “Sto ancora cercando di raccontare Gesù”

“Sto ancora cercando il modo giusto per raccontare la figura di Gesù nel mondo contemporaneo. Se avrò ancora un po’ di tempo, vorrei fare un ultimo tentativo.” È con queste parole che Scorsese ha aperto un lungo e denso racconto sul legame profondo tra il suo cinema e la fede. Una riflessione personale, non teorica, venata di biografia, memoria e desiderio.

Un film sui Vangeli

Il regista ha detto che l’idea di realizzare un film sui Vangeli lo accompagna fin dagli anni Sessanta, quando immaginava di girare in bianco e nero nel Lower East Side, tra i vicoli e i palazzi scrostati dove era cresciuto. Ma la visione de Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini lo spinse a fermarsi, a riconsiderare tutto. “Mi dissi: fermati. Dovevo trovare un’altra via”, ha spiegato. Quella via sarebbe passata molti anni dopo per L’ultima tentazione di Cristo, quindi per Silence, e oggi forse approderà a un nuovo progetto ispirato al libro Vita di Gesù di Shūsaku Endō. “Quel libro mi ha colpito profondamente. Potrei partire da lì. Mi do ancora sei mesi per capire come affrontarlo.”

Una serie sui Santi

Nel frattempo, Scorsese ha annunciato che sta realizzando una serie dedicata ai Santi, girata tra New York, la Serbia e il Marocco. È un progetto costruito con lo sceneggiatore Kent Jones e il produttore Matt Manning-Meschin, con il coinvolgimento di padre James Martin, consulente già in Silence, e di intellettuali come la firma del New York Times Paul Elie e la scrittrice Mary Karr. Gli episodi, ognuno di poco meno di un’ora, sono dedicati a figure come Santa Lucia, San Paolo, San Pietro, Maria, San Patrizio, e sono seguiti da incontri e dibattiti. “È un modo per esplorare la spiritualità in modo personale, non dogmatico, e aprire uno spazio di dialogo”, ha detto.

La formazione religiosa del regista

Nel suo racconto, il regista ha ripercorso anche la propria formazione religiosa, parlando della presenza continua del cattolicesimo come traccia nascosta ma potentissima del suo cinema. “Crescevo in un contesto dove c’era una criminalità organizzata, e se qualcosa andava storto, te la facevano pagare. Le storie e i personaggi che ho scelto di raccontare avevano sempre a che fare con quel mondo che ho vissuto. Il percorso cattolico e spirituale fa da sfondo a tutti i miei film, perché ha rappresentato qualcosa di importante per me, soprattutto nella mia infanzia.”

La fede, per Scorsese, non è mai stata un’ideologia, ma un senso profondo del mistero. “Il senso dell’amore di Dio non mi ha mai abbandonato. Anche in Mean Streets è lì: peccato, colpa, orgoglio, ma soprattutto il dovere di essere custodi gli uni degli altri. Vivi in un mondo di peccato, e ti dicono che basta andare in chiesa un’ora per espiare. Ma non è così.”

Molto toccante il ricordo della vecchia Cattedrale di San Patrizio, dove da ragazzo trovava conforto. Lì incontrò un giovane sacerdote che gli cambiò la vita: “Ci parlava in modo diverso, ci faceva leggere James Joyce, James Baldwin, Graham Greene. Mi aprì un mondo. Io volevo essere come lui. Ho fatto un anno di seminario, ma poi ho capito che non era per me. La vocazione, in fondo, è capire chi sei davvero.”

I Five Points

Una parte fondamentale del racconto ha riguardato i Five Points, il quartiere popolare di New York dove Scorsese è cresciuto e che considera la vera matrice simbolica del suo cinema. “Quando andavo in giro vedevo case marce, cimiteri, i mercati dove uccidevano i polli davanti a te. Era un mondo violento, reale. Il gangster per me era naturale. I primi erano irlandesi, poi vennero gli italiani, poi i portoricani. Ogni nuovo gruppo subisce rifiuto e conflitto.”

Proprio in questo contesto si inserisce uno dei film più identitari della sua carriera, Gangs of New York, che il regista definisce “il mio western”. “Se dovessi indicare il mio film western, sarebbe proprio quello. Ma non è un western classico: è una metafora del mio quartiere, dei Five Points. C’è tutto: violenza, sopravvivenza, appartenenza, emarginazione. È il mondo da cui provengo.”

Gli scontri a Los Angeles

Secondo Scorsese, commentando anche gli scontri attuali a Los Angeles, il conflitto è inevitabile in ogni società dove un gruppo già insediato si confronta con l’arrivo di un altro: “All’interno di una comunità già formata, ogni cultura diversa che arriva e cerca di integrarsi genera uno scontro. È una storia che si ripete. È accaduto ai cristiani e agli ebrei, così come ad Alessandria d’Egitto e nella stessa Sicilia”.

Girando Killers of the Flower Moon in Oklahoma, ha toccato con mano quanto profonde siano le ferite sociali in alcune comunità americane: “Mi sono trovato in mezzo a una società spaccata. Ho capito quanto male fanno queste divisioni. Si formano sottogruppi, e poi ci vogliono generazioni per sanare le ferite. Per creare una comunità unita ci vuole tempo, coscienza, cultura.” New York oggi in questo contesto gli è quasi irriconoscibile: “Quando giro in macchina a volte non so neppure dove sono. Solo alcune strade mi sono familiari. Il resto è cambiato.”

Messaggio alle nuove generazioni

In chiusura, il regista ha voluto lanciare un messaggio alle nuove generazioni: “Credo che si possa arrivare a una verità più profonda. Ma i giovani che crescono in ambienti violenti spesso non se ne rendono conto. Vanno aiutati a capire. Vanno sostenuti.” Poi una riflessione che suona come una sintesi del suo percorso umano e spirituale: “Bisogna fare molta attenzione alla rabbia. Può anche essere giusta, può spingerti ad agire. Ma può anche consumarti.”

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