AGI – A Tkuma, nei pressi di Sderot, c’è il ‘cimitero delle auto’, una distesa di 1.600 auto crivellate di colpi, molte ridotte a rottami contorti e arrugginiti, portate qui dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre in Israele.
Sul prato ci sono anche pick up usati dai terroristi, i resti di un’ambulanza, un mezzo militare coinvolto nella battaglia per la difesa delle comunità al confine con Gaza, una moto, delle coperte dei civili che partecipavano al festival di musica Nova.
A segnare l’orizzonte c’è un vero e proprio muro di ferro: sono i resti di 300 macchine completamente bruciate, “simbolo delle terribili azioni di Hamas contro i civili”, racconta Adam Ittiah delle forze armate israeliane (Idf), sottolineando come “ogni auto ha una storia da raccontare”.
In alcuna di queste “ci sono ancora resti umani e ceneri e per la legge ebraica siamo obbligati a recuperarli per poter seppellire i corpi”. “È un lavoro che non vorrebbe fare nessuno, raschiare via ceneri e resti dalle auto, metterli in sacchi neri per identificarli e poi seppellirli”, ma “la cosa peggiore per le persone è non sapere cosa è successo ai loro cari”.