giovedì, Giugno 26, 2025
spot_imgspot_imgspot_imgspot_img

Zuppa con i vermi per il rancio e la “Potemkin” si ammutina

AGI – Se non ci fosse stata la ribellione del ragionier Ugo Fantozzi ai soprusi del capufficio Guidobaldo Maria Riccardelli fanatico del cinema d’arte, probabilmente la corazzata Potemkin sarebbe assai meno nota in Italia, per quanto in chiave dissacrante. Il riferimento della pellicola di Luciano Salce “Il secondo tragico Fantozzi”, del 1976, è a quella di Sergej M. Ejzenštejn del dicembre 1925, ispirata alla rivolta a bordo della nave da guerra zarista del 27 giugno 1905. Un anno nefasto per le sorti militari della Russia di Nicola II, con la bruciante sconfitta col Giappone che a Tsushima tra il 27 e il 28 maggio aveva clamorosamente affondato la Flotta del Baltico. Lo sterminato impero era già stato attraversato da spasmi rivoluzionari col massacro della “Domenica di sangue” del 22 gennaio quando la guardia imperiale e l’esercito avevano aperto il fuoco contro la folla che manifestava a San Pietroburgo, con migliaia tra morti e feriti. Le forze armate zariste, già demoralizzate dallo scacco in estremo oriente subito dalla nascente potenza giapponese, risentivano del rigido classismo tra la casta degli ufficiali e la truppa, la rigidissima disciplina e una diffusa corruzione. Un episodio accese la miccia della rivolta a bordo della corazzata Potëmkin, ammiraglia della Flotta del Mar Nero, che stava conducendo una manovra al largo di Odessa assieme al cacciatorpediniere 267, nei pressi dell’isola di Tendra. 

Equipaggio schierato sulla corazzata per la punizione dei ribelli 

Era usanza sulle navi della marina di Nicola II che al mattino una parte della carne stoccata a bordo venisse adoperata per la preparazione della classica zuppa russa di barbabietole, il boršč, e i quarti di bue esposti all’esterno per arieggiarli, in assenza di impianti di refrigerazione. I marinai della Potëmkin, quel 27 giugno, avvertirono un odore nauseabondo e quando il boršč venne portato alla mensa rifiutarono il rancio. La carne era marcita ed era stata sciacquata con l’aceto per togliere i vermi e renderla visivamente mangiabile su ordine dell’ufficiale di guardia Ippolit Giliarovskij. Il comandante Evgenij Nikolajevič Golikov, allora, fece suonare l’adunata dell’equipaggio tra cui serpeggiava il malcontento; all’anziano medico di bordo, Smirnov, fu chiesto un ulteriore parere su quella zuppa, e questi ribadì che poteva essere consumata. Golikov allora ordinò all’equipaggio di dividersi: da un lato chi era disposto a consumare il rancio, dall’altro, a babordo, chi persisteva nel rifiuto. Il fatto che a babordo fossero stati stesi alcuni teloni, fece sospettare che l’ufficiale volesse giustiziare una trentina di marinai irriducibili nella protesta per dare l’esempio, e non sporcare la nave di sangue. Giliarovskij aveva già disposto le guardie armate quando esplose l’ammutinamento generale. I marinai sotto la guida del quartiermastro Anatolij Matjušenko si impadronirono di fucili e munizioni e uccisero gli ufficiali più odiati, sette, tra cui Golikov e Giliarovskij, e arrestarono gli altri. L’altro capo della protesta, Grigorij Vakulenčuk, era rimasto ferito mortalmente durante gli scontri a bordo. Il cacciatorpediniere 267, sotto minaccia delle artiglierie della Potëmkin non poteva fare nulla, e nulla peraltro volevano fare i marinai contro i loro compagni, ai quali si unirono. Erano le 13. 

L’ingresso nel porto di Odessa con la bandiera rossa 

Occorreva decidere subito cosa fare e, issata una bandiera rossa, si puntò verso Odessa, dove c’era stato poco prima uno sciopero generale protrattosi per più un mese che aveva paralizzato la città e scontri armati tra rivoluzionari e reparti dell’esercito, della polizia e dei cosacchi, con morti e feriti. Proprio a Odessa, in quello scenario in cui niente funzionava, si era rifornito di carne il cacciatorpediniere 267 per conto del comandante della corazzata. Poiché era previsto che la flotta del Mar Nero dovesse radunarsi a proprio a Tendra, gli ammutinati della Potëmkin, che avevano obbligato al comando il guardiamarina Alekseev, dovevano sottrarsi allo scontro aperto, ma prima dovevano imbarcare carbone, viveri e acqua. Alekseev era stato minacciato di morte se avesse tentato di far arenare la nave. La sera stessa ci fu un incontro tra i marinai e i socialdemocratici cittadini, ai quali veniva espressamente chiesto di unirsi alla rivolta, mentre intanto il comandante del distretto militare ordinava alle sue truppe di bloccare il porto. Tra il 28 e il 29 giugno non mancarono atti di violenza, saccheggi, ruberie e infine scontri a fuoco che costarono la vita almeno a un centinaio di militari d’ambo le parti. La vicenda era giunta sul tavolo di Nicola II che rimase sconcertato dalla ribellione e ordinò al comandante del distretto militare di reprimerla a tutti i costi. A Odessa vigeva la legge marziale. In accordo col comandante militare venne celebrato il funerale di Vakulencuk e quando dai cannoni fu sparata la salva di saluto due colpi caddero sulla città, fortunatamente senza gravi conseguenze. Gli ufficiali vennero fatti sbarcare, tranne due che si unirono ai ribelli, e i sottufficiali tenuti a bordo come manovalanza. 

La via di fuga passando attraverso la flotta che si rifiuta di aprire il fuoco 

Nella serata del 30 giugno la Potëmkin provò ad aprirsi una via di fuga tra le navi da guerra accorse al largo di Odessa, a costo di combattere. Le due squadre che dovevano o bloccare o affondare la Potëmkin, invece di combattere si aprirono consentendo il passaggio: gli artiglieri si rifiutarono di cannoneggiarla. La corazzata Georgij Pobiedonosec si unì ai ribelli ma poi i marinai lealisti ne ripresero il controllo e rientrò nei ranghi. Abbandonata l’idea di raggiungere Sebastopoli, il 2 luglio la corazzata puntò verso Costanza, dove le autorità romene tutto volevano tranne che compromettersi con la Russia. E infatti il 9 luglio la Romania restituirà la corazzata allo zar. Per cancellare quella pagina vergognosa e imbarazzante la nave sarà ribattezzata Panteleimon. Di vergogna aveva scritto nel suo diario, alla data 6 luglio, anche Nicola II. Sopravviverà alla rivoluzione del 1905 ma non a quelle del 1917. 

Dal film apologetico di Ejzenstejn alla dissacrante frase di Fantozzi 

Il regime sovietico non poteva farsi sfuggire la formidabile eco propagandistica della vicenda della corazzata ribelle, e così il regista Sergej Ejzenštejn l’incarnò artisticamente nel 1925 in una pellicola giustamente entrata nella storia del cinema. Erano trascorsi venti anni dall’ammutinamento e l’epopea diveniva paradigmatica della rivoluzione e dello stato socialista, con le sue forzature, le sue esagerazioni e la sua retorica. Ma poi in Italia nel 1976 apparve nelle sale cinematografiche “Il secondo tragico Fantozzi”. Il ragioniere più vessato della storia e della letteratura viene costretto dal suo capo maniacalmente ossessionato e ossessionante col cinema d’autore ad assistere al film sovietico e alla fine, in un rigurgito di dignità e di ribellione, Paolo Villaggio lo bolla esplicitamente come una boiata (eufemismo) pazzesca. Viene punito a replicare la scena della scalinata di Odessa, nella carrozzina che sotto il fuoco di fucileria dei cosacchi sfugge di mano alla madre, che peraltro nella versione originale era interpretata dall’attrice italiana Beatrice Vitoldi. Il successo del film di Luciano Salce ha reso da allora popolarissimo l’uso gergale, ma irridente, della corazzata Potëmkin, che comunque nella prima versione della pellicola, per evitare problemi con l’Urss, era stata chiamata in maniera assonante Kotiomkin. 

 

 

 ​ Read More 

​ 

VIRGO FUND

PRIMO PIANO